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25 Novembre: the day after

Tempo di lettura: 5 minuti

Ho atteso qualche giorno prima di concedermi di scrivere qualcosa su “come ho passato questo 25 novembre”, che in realtà sembra la frase di rito sulle feste natalizie. Ma per tutte noi che riconosciamo la portata di questa giornata internazionale, è normale fare i conti con quello che “muove dentro” perché, se da un lato siamo globalmente connesse più o meno negli stessi momenti, dall’altro ci scontriamo con quella ipocrisia di un mondo che in poche ore parla tanto di noi, per tornare immediatamente dopo ad abusare di noi.
Ho atteso pazientemente di poter mettere in ordine non solo le normali emozioni legate al 25 novembre, ma anche e soprattutto i sentimenti contrastanti che da qualche anno a questa parte caratterizzano il mio attivismo, dal momento che l’essere inciampata su un sasso che mi ha fatta cadere nel pozzo profondo e buio dell’attivismo di facciata, degli slogan ripetuti solo per ricavarsi un posticino all’interno della marea globale femminista, di manipolazioni e soprusi che non avrei mai immaginato neanche nei miei peggiori incubi, ha veramente messo a dura prova la mia capacità di trovarmi in alcuni contesti.
Però, cazzarola, devo dire che ho fatto un buon lavoro, tutto con le mie manine. Perché ho abbracciato la lentezza e la mia vulnerabilità, accettando anche di rinunciare a essere compresa. Infatti, è solo così che ormai credo si possa uscire dal pozzo profondo in cui si nascondono certe esperienze, certi incontri: nel pozzo, dove non c’è luce, nessuno/a vuole entrare per tirarti su, magari ti aspettano fuori, ma dentro no, non ci entra nessuno/a. E solo noi, che ormai abbiamo abituato la vista a quel buio, possiamo trovare l’uscita. Una volta trovata l’uscita, saremo in grado almeno di riconoscere chiunque faccia capolino da quel pozzo per darsi una ripulitina e cercare di mischiarsi in mezzo alla folla. Ma noi sappiamo riconoscere gli odori, gli sguardi, le parole, anche i più piccoli gesti.
E così, il mio 25 novembre 2022, è stato caratterizzato da tanti piccoli avvenimenti che hanno suscitato emozioni contrastanti, alcune nuove e altre note. Il loro agire per compensazione è stato quasi inaspettato. Proverei a descriverle tutte, perché sono convinta che non abbiano riguardato solo me, perché tutte noi, più o meno, abbiamo dovuto cercare di uscire da un pozzo profondo.
La gioia: di trovarmi nelle piazze, perché è lì che dobbiamo stare insieme, unite, finché non smette di “patriarcare”.
-La consapevolezza di trovarmi nello spazio pubblico diversamente: meno esposta, perché memore di chi ha voluto uscire dal pozzo solo per poter portare dietro del fango e gettarlo su di me, e di chi non ha voluto ascoltare me, per questione di numeri e interessi. Perché nelle dinamiche di violenza, non esiste neutralità, e spesso si ascolta il carnefice che sa ben curare il proprio aspetto esteriore. Pratiche di silenziamento che lacerano l’anima, producono profonde ferite che, comunque vada, lasciano cicatrici pià o meno visibili.
-La serenità per non aver mai dovuto smettere di essere me stessa, neanche per un istante. Questo è un privilegio che molte altre persone non conoscono, ma è un privilegio che si paga molto caro.
-Il dolore per ogni donna delle 104 uccise in questo 2022, che certamente non avrebbe potuto salvarsi utilizzando il Signal For Help o con uno spray al peperoncino, o con le parole-solo parole di chiunque abbia voluto aprire bocca solo perché le circostanze lo impongono. Io trovo veramente assurdo il fatto che qualcuno abbia organizzato iniziative per poter parlare del Signal For Help, soprattutto in Italia, dove le donne muoiono ammazzate dopo aver preso loro stesse l’iniziativa di uscire dalla violenza, di denunciare, di autodeterminarsi. In Italia, dove le donne rischiano di uscire di casa per allontanare loro stesse e i figli dalla violenza e trovare le porte di un centro antiviolenza chiuso per mancanza di fondi e mezzi di sostentamento. Il segnale con la manina…ma fatemi il piacere, qui stiamo ancora “se l’è cercata” e “signora ma lei cosa ha fatto per provocare la violenza?”.
-Finalmente la scossa di adrenalina dello stare insieme, dopo due anni di pandemia – che per noi donne, utile ricordarlo, è solo la seconda pandemia in ordine di importanza, la prima è sempre il patriarcato – a ridere, scherzare, guardarci negli occhi e toccarci anche solo per ricordare a noi stesse che siamo vive, che siamo ancora in marcia, che lo spazio pubblico è nostro.
-La tristezza, che poi spalanca le porte alla serenità, per la scelta di non sfilare in corteo con le donne con cui avrei voluto, per non rischiare di finire anche solo per caso in una foto con chi ha decisamente voluto cospargere di mine la mia vita e la mia salute mentale. E’ già troppo dover portare nella mente certe esperienze, figuriamoci finire in una foto accompagnata da un qualche slogan di sorellanza tipo “se toccano una, rispondiamo tutte” con chi non solo non ha risposto, ma ha anche fatto in modo che mi si toccasse più del dovuto, diciamo. Però ben truccate, si può risultare anche coerenti con lo slogan. Ci sono compromessi che non si possono raggiungere, non da sopravvissute a certe esperienze. Ho dovuto attendere perché la tristezza lasciasse posto alla serenità, magari la prossima volta impiegherà meno tempo. È bello assistere ai piccoli cambiamenti interiori.
-L’entusiasmo di poter camminare a fianco dell’amica di una vita, mi sono fermata a pensare che è stata la prima volta che lo abbiamo fatto insieme, perché le nostre vite sono lontane e hanno girato il mondo, ma le nostre anime non si sono mai lasciate, sin da quando eravamo bambine.
-Il fastidio urticante delle iniziative istituzionali, sempre meno credibili, sempre più vuote, non a caso poco prima degli addobbi natalizi nelle città. Questo anno le panchine rosse sono letteralmente piovute. Così come le parole di condanna, che non costano nulla. A costare sono i centri antiviolenza, le case delle donne, il lavoro di chi quotidianamente si occupa di prevenzione e contrasto alla violenza.
-La stanchezza, un po’ mentale perché tutto questo saliscendi di emozioni è avvenuto in pochi giorni, un pò fisica perché ovviamente il nostro corpo risponde chiedendo di rallentare. E io rallento, ci mancherebbe.

A me sembra di avere superato un altro piccolo ostacolo ma, non trattandosi di una competizione, non credo di dovere arrivare a un traguardo. È stato un 25 settembre introspettivo, più del solito.

Vivere le emozioni, abbracciarle tutte e poi lasciarle scorrere, ci consente di andare avanti con uno sguardo sempre rinnovato sul mondo, e credo che questo sia ciò che risponde al concetto di “vita vissuta”.
E dal momento che ho proprio voglia di proseguire contribuendo a quella lentezza che per me è la miglior pratica di self-care, credo sia il momento di passare ai “consigli per gli acquisti di Natale” che possano aiutarvi a rallentare, spalancando gli occhi sul mondo che vi circonda.

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