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La paura dell’abisso
1 Marzo 2023
Quando ero bambina, avevo paura dell’acqua alta. Nuotavo sul bagnasciuga, dove aspettavo le onde che venivano e se ne andavano lasciandomi lì al sicuro, sotto lo sguardo vigile dei miei genitori.
Soltanto con loro mi avventuravo appena più in là, con entrambe le mie piccole mani strette tra le loro. Strette fino a farmi male.
Crescendo ho imparato a nuotare, ma per anni non ho saputo stare ferma e tenermi a galla, al mare. Avevo paura di quell’abisso sotto di me, buio e pieno di vita che a me spaventava, immaginavo squali e mostri marini che aspettavano solo di rosicchiarmi le gambe. Inutile fare le prove in piscina, dove potevo vedere chiaramente fino in fondo.
Il mare si muoveva, decideva lui dove portarmi. Io avevo paura di essere portata via, lontano.
Poi ho iniziato a giocare con le onde, quelle alte. E un giorno mi sono ritrovata trasportata in un punto in cui l’acqua era troppo alta, e le onde spingevano la mia testa sott’acqua. È durato poco: mio padre, che mi osservava dalla spiaggia si è buttato in acqua e mi ha portata a riva. Io giocavo, di giorno, felice. Sono stata in pericolo per un attimo, e sono ancora qui, perché ero al sicuro.
Ho potuto imparare, con il tempo, in tutta la mia vita, a non avere paura in alcuni momenti, ad accettarla in altri. A cercare una mano a cui aggrapparmi, ad entrare in acqua per rilassarmi. A vivere il mare come fonte di vita, e quell’abisso come occasione di scoperte.
Le stragi di migranti, annunciate e poi ignorate, mi hanno riportata fino in fondo a quell’abisso, a cui uomini e donne hanno affidato la speranza di salvezza per sé e di un futuro per i propri figli. Il mare aperto, di notte, nero come la pece, talmente agitato da confondere la mente e immobilizzare corpi già intirizziti dal freddo. Le mani dei bambini e delle bambine che stringono quelle dei genitori con tanta forza da lasciare senza fiato.
Penso a me, terrorizzata per il solo sentire l’acqua alle ginocchia. A mia madre, pronta con l’asciugamano e la merenda sotto l’ombrellone. A mio padre, che in acqua tiene le mie mani e mi dice “dai, adesso tira su le gambe e sbatti i piedi, ti tengo io”.
Penso a quante volte quelle madri e quei padri avranno sussurrato ai propri figli “non ti preoccupare, ti tengo io”, mascherando il terrore di non farcela.
Oggi ho paura, tanta, dell’abisso: di quell’abisso nero come la pece, nauseabondo come la putrida propaganda di uomini e donne di Stato che osservano dall’alto dei loro scranni i corpi riversi sulle spiagge di creature colpevoli di voler sopravvivere.
Avrei voluto vedere uomini e donne di Stato inginocchiati ai piedi di quei corpi, tenersi la testa tra le mani, disperarsi per essere arrivate/i troppo tardi. Ma loro il ritardo lo hanno calcolato. E io ho paura. Poi la paura passerà, e sarà solo odio, senza vie di mezzo.
Sono qui che scrivo, e proprio ora una nuova vita sta nascendo. A lui auguro certamente un mondo migliore, ma prima di tutto la capacità di lottare per averlo.