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I RUOLI, SIGNORA MIA!
25 Aprile 2022
La sua casa le piaceva, perché entrando era chiaro che quella fosse la sua casa: ogni angolo parlava di lei, anche un libro poggiato su uno sgabello, una rivista sul bracciolo del divano, un tappeto vecchio di cinquant’anni. Il suo studio era pieno di libri, colori, appunti e fotografie, che potevano sembrare in disordine, ma per lei avevano un preciso ordine, e costituivano il suo ambiente di lavoro e di riflessione perfetto. Ogni singolo pezzo della sua casa era lì perché rappresentava una parte di lei e di Tommaso, suo marito. Erano come i pezzetti di un puzzle nella loro scatola: messi lì alla rinfusa non sembrano utili, ma sappiamo bene che ognuno ha il suo ruolo nella composizione finale: vinili, libri a non finire, cd, orologi, vecchio e nuovo che si contaminavano a vicenda a raccontare passato e presente delle loro vite e delle vite di altre persone, perché amavano conservare piccoli pezzi di un passato che cercavano di esplorare con rispetto e curiosità, e che a volte erano di grande ispirazione nella loro visione del futuro.
Una casa costruita a piccoli passi nella quale erano entrati per la prima volta con lo stretto necessario, perché avevano scelto di aggiungere il resto attraverso la vita vissuta, osservando le loro vite muoversi nello spazio a disposizione. Avevano provato a consultare un architetto d’interni per riempire la loro casa, ma uscendo dal suo studio si erano resi conto che prima di un professionista avrebbero dovuto consultare la loro casa e metterla in comunicazione con le due loro anime, le loro percezioni, i loro bisogni.
Per iniziare, due poltroncine ed un televisore nel salone. Con il tempo era arrivato il divano su cui cadeva sempre l’occhio passando davanti al mobilificio, immaginando come si sarebbero seduti, sdraiati, con quale angolazione, ben sapendo che la loro tendenza era quella di farci delle lunghissime dormite, mentre la televisione li guardava. I mobili della nonna, ritrovati nella vecchia casa piena di calcinacci e cadaveri di volatili entrati dal caminetto, che a vederli sembravano buoni per accendere il camino, ma messi in buone mani avevano trovato la loro dignitosa collocazione e nuova vita che nessuno avrebbe mai immaginato; una grande libreria, minuziosamente disegnata da Tommaso, che aveva tenuto conto delle varie misure dei loro libri, del peso, del fatto che avrebbe avuto un ruolo centrale in quella casa, non di semplice decorazione.
Su una cosa entrambi si trovavano in perfetta sintonia: una casa senza libri è una casa senza anima, priva di uno sguardo verso quell’altrove che arricchisce la vita, stimola la curiosità.
“E con la polvere come fai?” chiese un giorno Chiara a Livia. Erano amiche di infanzia, e Chiara non aveva mai particolarmente amato la lettura, diceva che non riusciva a mantenere l’attenzione e si perdeva facilmente in altri pensieri mentre leggeva. Preferiva sfogliare riviste che poi buttava, l’unica libreria che aveva avuto era quella in cui teneva i libri di scuola. Ma Livia non la giudicava per questo, era una donna sensibile, una buona amica, a cui poteva anche rispondere con sarcasmo, Chiara se lo aspettava.
“Con la polvere? Beh…lascio che si accumuli per un po’ di anni e poi uso la lanugine per farne cuscini, hai sentito quanto sono morbidi i cuscini del divano?”
Nei bagni c’era il necessario: un lavabo, un bidet, una doccia, un water, e dei mobiletti comprati per contenere cose necessarie. Non avrebbero mai speso per un mobile da bagno quanto una cucina.
Sono scelte, e loro preferivano spendere i propri soldi per viaggiare, leggere, andare ai concerti…si davano sempre e comunque la possibilità di cambiare idea. In quegli anni anni non avevano mai cambiato idea.
La casa era sempre pulita, profumata, ordinata nell’ordine che loro avevano dato. Non era di certo una casa abbandonata a sé stessa: sistemando le cose, a volte capitava di dare loro nuova disposizione, di aggiungere o togliere, buttare o rinnovare, dipingere un murale o appendere quadri.
“Questa casa sembra un centro commerciale, che cambia allestimento secondo le stagioni!”, scherzava a volte Tommaso, perché magari aprendo uno sportello della cucina per prendere una tazza, ci trovava la batteria di pentole.
“Dunque…adesso io cercherò un cacciavite in questo cassetto…che non si trova qui ma….?” diceva a volte tra sé e sé, avendo notato che il giorno prima Livia era stata occupata a “riordinare” proprio quella cassettiera.
La loro casa era la rappresentazione della loro vita: nulla era dato per scontato, nulla è determinato per sempre, occorre darsi la possibilità di cambiare idea, di provare nuove strade, di muoversi al di fuori della linea tracciata per vedere come ci si trova. Ed in ogni caso si può tornare indietro, rimettendo le cose come stavano prima, in ogni momento, finché c’è vita.
A volte capitava di sentire il bisogno di ordine, specialmente nei momenti difficili, quelli in cui le scelte per una ragione o per un’altra avevano complicato le cose, e si incastravano negli angoli a cercare vie d’uscita dandosi responsabilità a vicenda. E capitava di affacciarsi nelle vite degli altri, di chi si muoveva all’interno di uno schema ben preciso, e volere un pezzetto di quelle vite, pianificate dall’inizio alla fine, con delle regole precise raramente infrante.
Ma pur provandoci, non riuscivano a vestirli quei panni: semplicemente non erano della loro taglia, non ci riuscivano proprio.
A volte invitati a casa di amici si trovavano in ambienti completamente bianchi, spogli: bianche le pareti, bianchi i mobili, bianche le porte ed i pavimenti, caminetti mai accesi e neanche un granello di polvere. Nessun libro, non un oggetto fuori posto, nessuno che mangiasse una pizza sul divano o bevesse un bicchiere di vino seduto sul tappeto, sembrava di entrare in uno di quei saloni di esposizione di mobili dove anche posate e bicchieri sono perfettamente allineati, e non una goccia d’acqua nel lavabo della cucina. I vetri alle finestre talmente puliti che si poteva rischiare di uscire di fuori pensando fossero aperte e lasciarci stampato il segno della fronte. Se quelle occasioni si presentavano durante particolari periodi di stress, a Livia capitava, rientrando a casa, di voler togliere tutto dalla sua casa e lasciare pochissime cose essenziali, come a voler riprodurre un ordine universale che avrebbe semplificato tutto. Era come se uscendo da quegli ambienti le rimanesse addosso lo spirito del minimal ad ogni costo.
In particolare, le accadeva quando andava a casa di Miriam, la sua collega di lavoro. Livia lavorava da anni in una casa editrice, come addetta alle relazioni esterne, e divideva l’ufficio con Miriam da sempre. Si frequentavano a volte con i rispettivi mariti anche al di fuori dell’orario di ufficio per andare al cinema o a teatro, a cui abbinavano cene o aperitivi. Raramente si scambiavano inviti a cena a casa, semplicemente perché preferivano stare fuori, senza troppo impegno.
“Viviamo otto ore al giorno in mezzo ai libri, alle riviste, a gente che parla di libri e riviste, manca solo che mi riempia la mia casa di libri. Per carità!” le diceva Miriam, nelle rare occasioni in cui la invitava a cena e parlava di quanto fosse difficile mantenere pulita la casa. Livia adorava il suo lavoro, e avrebbe desiderato avere un deposito come quello di zio Paperone ma pieno di libri, di parole, per nuotarci dentro. Non riusciva a capire Miriam, ma non le interessava neanche, ognuno è fatto a modo suo. In fondo non toglieva nulla a lei, questo era il suo approccio alle persone.
Miriam aveva una sorella più piccola, che da un paio di anni si era separata dal marito con il quale aveva avuto un figlio, che al momento della separazione aveva 14 anni.
“Vuoi sapere l’ultima?” Le disse una mattina entrando in ufficio con il caffè in mano e sbattendo la borsa sulla scrivania.
Senza attendere la risposta di Livia, che era impegnata ad inviare una mail, continuò “Quella scema di mia sorella ha un fidanzato!”.
Livia sollevò lo sguardo dal pc, lo diresse su di lei in attesa che proseguisse con la parte centrale e grave della notizia, tipo “…e lui la picchia!”.
Miriam alzò lo sguardo che fino ad allora era stato fisso sul caffè, la guardò con gli occhi sbarrati “hai sentito? Mia sorella ha un fidanzato!!”
Livia capì che quella era la notizia sconvolgente “Buongiorno anche a te e…scusa…non capisco. Sei contenta che tua sorella abbia un fidanzato? O il fidanzato di tua sorella è…non so…un delinquente? O è tuo marito?” cercò di trattenere un sorriso sarcastico, ma non ci riuscì.
“Ma cosa cazzo dici? Cioè…mia sorella è separata, ha un figlio, ed un fidanzato! Come cazzo le può venire in mente di avere un fidanzato? Come??” L’espressione di Livia probabilmente l’aveva ancor più innervosita, il tono era di chi dice “possibile che qui ragiono solo io??” accompagnato da quella che sembrava una vampata di calore da menopausa…ma Miriam non era in menopausa. Si era accesa come un cerino…
“Ok, scusa” le disse Livia assumendo un tono ed un’espressione accettabili di fronte alla gravità dei fatti – dentro di lei ogni singola cellula rideva però, poteva sentirle – “mi devi perdonare, ma io non ho capito perché sei arrabbiata. Tua sorella ha se non sbaglio 43 anni, ha sofferto molto per la separazione e per il tradimento di suo marito. Mi ha sempre detto che per suo figlio ha mantenuto con il padre buoni rapporti – mica facile né scontato eh – che passano tanto tempo insieme tutti e tre, e che lui sta ancora con la donna con cui l’ha tradita. Non riesco a capire cosa ci sia di così grave nel fatto che lei abbia ora un compagno, dovresti essere felice della sua serenità”
“Livia! Lei è una madre, gli uomini si sa che sono dei farfalloni, che vanno dietro ad ogni gonna che sventoli loro davanti, ed anche i figli imparano ad accettarlo. Ma una madre è una madre, sempre e prima di tutto! Non si può pensare di rifarsi una vita a scapito dei propri figli, di imporre loro scelte senza interpellarli. Io non lo accetto! Non-lo-accetto!” disse Miriam con gli occhi chiusi e le sopracciglia inarcate: sembrava una scena di altri tempi, Livia non poteva credere alle sue orecchie. Ma cercò comunque di provare a fare un ragionamento con lei, anche se per farlo avrebbe dovuto accorciare la distanza di anni luce che le separava, ed emettere lunghissimi respiri per reprimere gli innumerevoli insulti che le sarebbero usciti altrimenti dalla bocca, che normalmente non avrebbe risparmiato ad una sconosciuta con cui non avrebbe dovuto condividere l’ufficio ogni giorno “Dunque…io credo che tua sorella sia un’ottima madre, ma prima di tutto che sia una donna molto intelligente e determinata. Ed è grazie a queste due caratteristiche che ha saputo stare accanto a suo figlio in questi anni di cambiamento. Quindi credo anche che sappia come affrontare l’argomento con SUO figlio, sinceramente non comprendo cosa c’entri tu in tutto questo. Semmai entrambi i genitori dovranno occuparsi di tutto ciò, lo hanno fatto fino ad ora”
“Livia, i figli dei separati stanno sempre male, ne ho visto tanti. Hanno sempre dei problemi, vanno male a suola, costruiscono relazioni instabili, non hanno successo nel lavoro. Specie quando i genitori si rifanno un vita, fanno i giovanotti e vanno in giro con i fidanzati e le fidanzate. Così insegnano loro che nella vita puoi non prenderti responsabilità e andare in giro a fare cretinate quando vuoi. Non si possono fare i figli e poi pensare che siano pacchi che stanno una settimana a casa di uno e una settimana a casa dell’altra con estranei che girano liberamente nei loro spazi e giocano a fare i genitori acquisiti”.
“Ehm…Miriam…i miei genitori si sono separati quando avevo 13 anni. Ed io non ho mai considerato i loro rispettivi compagni come miei genitori, né loro mi hanno mai considerata loro figlia. Sono i partner dei miei genitori, ed è anche grazie a loro che non ho mai vissuto tutto questo come un problema. Ma prima di tutto è grazie ai miei genitori, che hanno saputo affrontare la loro separazione senza farmi sentire né un peso né un motivo per rimanere insieme per forza” replicò Livia con molta calma, sperando che capisse che l’espressione “conosco gente che” non fa una regola, perché ogni esperienza è unica, e soprattutto non coinvolge tutto il parentato.
“Già Livia, hai ragione. Ma non credo che tua madre andasse in giro, da separata, vestita come una ragazzina, a ballare con il suo compagno, lasciandoti dai nonni parcheggiata come un auto”
“Mia madre concordava le sue uscite con mio padre perché rimanessi da lui, ed a volte stavo dai nonni, come è sempre stato anche quando i miei erano insieme. Ma scusa, quando usciamo insieme, voi non lasciate vostra figlia Gaia da tua madre?” chiese Livia. La figlia di Miriam di anni ne aveva 12, non l’aveva mai vista con un ginocchio sbucciato, i capelli in disordine, le mani sporche di colore. Interrompeva continuamente le conversazioni in cui non si parlava di lei, le sembrava un pò grandina per non avere acqusito certe competenze relazionali, ma anche di questo le importava poco: non era sua figlia, crescendo avrebbe certamente fatto esperienza.
“Cosa c’entra? Mia figlia ha una vita normale, serena, senza tutti questi casini di fidanzatine e fidanzatini di mamma e papà. Lei poi torna nella sua casa dove siamo noi tre, senza dover girare con lo zainetto come una nomade. Mi dispiace, ma io il fidanzatino di mia sorella a casa mia non ce lo voglio” tuonò Miriam, come se Livia le avesse lanciato una inaccettabile provocazione.
“Non credi possa dispiacerle? Sei la sua famiglia, suo figlio è molto affezionato a te” Livia cercava di farla ragionare con pacatezza, anche se normalmente odiava perdere tempo con chi faceva ragionamenti stereotipati.
“Dispiacerle? Poteva pensarci prima! Io ho già tanti problemi nella vita: il lavoro, la casa, la scuola di mia figlia, i suoi impegni, sono una madre, IO! Ho talmente poco tempo per me, che di certo non voglio caricarmi di altre faccende: ti immagini cosa direbbe il mio ex cognato? Io quando passo il tempo con mio nipote non voglio anche intorno gente che non conosco, rischiando di dovermi giustificare della sua presenza.”
Livia era veramente scioccata: certi ragionamenti non li aveva mai sentiti fare neanche da sua nonna quando i suoi genitori si erano separati, ma forse non li aveva mai fatti neanche la nonna di sua nonna!
Presa dalla confusione e dallo sconforto le parve di vedere Miriam nei panni della zia Violet Crawley, Contessa Madre di Grantham, in Downton Abbey. L’espressione di disappunto era la stessa, non avrebbe saputo distinguerle.
Mentre Miriam continuava quello che sembrava essere diventato un monologo o la lettura delle motivazioni di condanna senza appello di un Giudice, Livia la osservava forse come non aveva mai fatto prima: si stava rendendo conto che quando parlava di qualsiasi cosa, di chiunque, metteva sempre sé stessa al centro del discorso: le sue regole, i suoi principi, la sua visione della vita, i suoi problemi, il suo tempo, le sue disgrazie. E chiunque le ruotasse intorno, avrebbe dovuto considerare tutte queste cose per avere un rapporto con lei, non esisteva un altro modo di stare al mondo.
Una serie di flashbacks le si mostravano davanti: quando a Livia era stata diagnosticata l’ENDOMETRIOSI, aveva passato un periodo di grave depressione, non riusciva neanche ad alzarsi dal letto la mattina, ci mise un bel po’ ad accettare questa nuova fase della sua vita. Non era brava a chiedere supporto alle persone che aveva intorno, a mostrare il suo stato d’animo, ma un giorno in ufficio si aprì con Miriam, dicendole che non riusciva ad immaginare il giorno in cui quel dolore sarebbe finito, e che era spaventata: Miriam in quell’occasione le rispose “eh…ti lamenti tu…pensa a me che due anni dopo avere partorito mio figlio ho avuto un aborto spontaneo…quello si che è un grande dolore che non si cancella. Tu almeno hai le medicine, il mio lutto non si può curare.” In un’altra occasione, parlando di una bravissima collega che dalla reception era stata promossa alle risorse umane “Mah…io Sara non la capisco eh. Ha due figli ancora piccoli, e si è data alla carriera. Nella vita bisogna scegliere: o fai la madre, o ti dedichi alla carriera. Non puoi avere entrambi, perché se lavori troppo poi i figli chi te li cresce? La tata? Bello così eh, peccato che ci sono dei ruoli da rispettare perché i figli hanno bisogno di una padre e di una madre, ma prima di tutto di una madre. Io ho fatto il part time finché mia figlio era piccola, la prendevo a scuola, cucinavo per lei e la accompagnavo alle attività sportive, ai compleanni, la seguivo in tutto. Mio marito d’altronde lavorava fino a sera tardi, e poi che avrebbe potuto fare lui da solo? Te lo immagini con una bambina piccolo in casa? Suvvia, possiamo inventarci tutto eh, ma pensare alla carriera quando hai dei figli è un comportamento veramente irresponsabile! Te per esempio hai fatto bene: lavoro, aimpegno sociale e niente figli. Questo lo rispetto!” Livia in quell’occasione si rese conto che Miriam riusciva a parlare delle vite di chiunque senza sapere neanche di cosa stesse parlando.
Ripensando a queste due occasioni, tra le tante, Livia si rese conto che Miriam il mondo intorno a sé non lo contemplava, non era empatica, non provava interesse verso le vite degli altri, non chiedeva loro “come vorresti gestire questa cosa? Come ti senti? Cosa posso fare per te?”: Miriam il mondo lo metteva in ordine secondo la sua idea di ordine, perché ne aveva bisogno, per non trovarsi impreparata, per non dover ascoltare, per non mettersi in discussione. Per non doversi muovere tra gli imprevisti.
Non era una questione di arretratezza culturale, non era una questione di età – cavolo, Miriam aveva solo 50 anni, sette più di lei!- ma di insicurezza, probabilmente per non essere stata in grado di affrontare dei mostri che teneva dentro. D’altronde Livia aveva sempre rifiutato chi giustificava i propri ragionamenti carichi di stereotipi e pregiudizi con un bel “me lo posso permettere, ormai ho una certa età!”, perché lei di donne di una certa età ne conosceva tante, che sceglievano ancora ogni giorni di imparare qualcosa dall’esperienza, di non accettare regole e ruoli fissi ed immutabili, di evolversi attraverso l’ascolto, l’osservazione. Livia pensava a Jane Fonda, a Gloria Steinem, ad Angela Davis, ma anche a sé stessa, che mille volte aveva rimesso in discussione le sue stesse certezze attraverso l’esperienza. Ma Miriam aveva bisogno di mettere in ordine il mondo, le cose, la casa. LA CASA!
“Non so che dirti Miriam, io te siamo proprio ai due poli opposti rispetto alla questione dei ruoli, dei rapporti, delle regole di vita. Non so come posso aiutarti, mi dispiace per tua sorella. Fosse stata la mia, l’avrei aiutata ad affrontare questo nuovo cambiamento, ed avrei aiutato mio nipote insieme a lei. Perchè quella è la SUA famiglia.” Le disse sconsolata Livia
“Ah certo! E’ la sua famiglia quando le pare! Quando le è servito qualcosa, anche una casa in cui stare mentre ne trovava una per sé e suo figlio, andava bene pure la mia di famiglia!” le fece notare Miriam, con un tono di rivendicazione che la fece rabbrividire. E’ come vendere l’anima al Diavolo: se qualcuno ti aiuta, devi stare alle sue regole per tutta la vita, rinunci automaticamente alla tua autodeterminazione.
“Devo dirti seriamente che tua sorella mi sta in mezzo al cuore, perché il suo momento di vulnerabilità è diventato un motivo di ricatto affettivo e di controllo. E le persone si ritrovano ad essere sole quando realizzano che chiedere aiuto e sostegno può metterle nella situazione di vedere limitata la propria libertà di stare al mondo. Veramente triste”. A questo punto Livia assunse quell’espressione un po’ stronza che sceglieva di tenere quando aveva di fronte a sé qualcuno che considerava veramente mediocre…sì…era il momento dell’espressione da stronza “Io dalla separazione dei miei genitori ho imparato una cosa” aggiunse “che nulla è indissolubile e per sempre, che anche un matrimonio può finire, e che è importante non stare in una relazione per forza, perché la vita merita di essere vissuta, è una sola! Ah…e a scuola andavo bene, avevo un sacco di amici, ed ho vissuto una adolescenza problematica come il 99,9% della popolazione di questo mondo. E ti volevo dire anche che…mio padre ha lasciato mia madre per un uomo, non per una donna”
Miriam rimase senza parole, ma evidentemente solo per quella ultima verità di cui Livia non aveva mai sentito il bisogno di parlarle prima, il resto di certo non la interessava. Livia scelse questo modo per chiudere la discussione che non avrebbe portato a nulla di buono se non ad una litigata pazzesca. Ma non voleva tensioni in ufficio, e sapeva che così non avrebbero affrontato anche un sacco di altri temi per cui Miriam aveva di certo delle regole, uno quello dell’omosessualità, delle coppie omosessuali che hanno figli, dei bimbi che hanno bisogno di una madre e di un padre, e così via.
Le regole di Miriam erano per Livia il libro nero della vita, ma chissà quanto costava a Miriam starci dentro, e quanto sarebbe costato a sua figlia.
Fortunatamente la sua giornata era piena di riunioni: Inviata la mail che aveva lasciato in sospeso, trascorse il resto del tempo fuori dall’ufficio, dove immaginava le parole responsabilità, fidanzatino, madre, ruoli, regole, ordine, disciplina, rimbalzare da un muro all’altro come palline da ping pong.
Quella sera, rientrando a casa da lavoro con la lasagna comprata in rosticceria, Livia si tolse le scarpe, si avvicinò allo stereo e mise un vinile di David Bowie: si sedette sul tappeto, di fronte alla sua enorme libreria, circondata dai suoi pezzetti di vita, chiamò suo marito in cucina “Tommy, porta qua due bicchieri ed il vino, stasera si mangia sul tappeto, rutto libero!”.
‘Cause I’d rather stay here
With all the madmen
Than perish with the sadmen roaming free
And I’d rather play here
With all the madmen
For I’m quite content
They’re all as sane as me