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Catcalling e Pappagallismo, ovvero la molestia sessuale in pubblico
16 Marzo 2022
CATCALLING: “molestia sessuale, prevalentemente verbale, che avviene in strada. La parola catcalling nomina una serie di atti (complimenti non richiesti, commenti volgari indirizzati al corpo della vittima o al suo atteggiamento, fischi e strombazzate dall’auto, domande invadenti, offese e perfino insulti veri e propri) che, in quanto ritenuti espressione di una mentalità sessista e svalutante, costituiscono un tipo specifico di molestia sessuale e di molestia di strada”.
Richiamate come animali domestici. Come quelle creature che rispondono ad un suono specifico e ci gratificano per aver dato loro attenzione. Il gatto ci fa le fusa. In Italia, molte persone criticano l’utilizzo di questo termine “catcalling” perchè dicono, è una invenzione delle femministe che non pensano alle cose importanti, che devono inventare qualcosa che prima non esisteva. Cosa non esisteva? La molestia in luogo pubblico, o la parola “catcalling” per definirla? O entrambe? Forse entrambe, per loro. Qual’è il problema? Che vi da fastidio che alziamo la voce, che vi sbattiamo in faccia ciò che siete?
Il problema è una parola, o la verità che si nasconde dietro di essa? C’è sempre qualcosa di ben più importante a cui pensare, e ce lo devono sempre dire gli altri cosa sia importante.
Per vostra curiosità, in Italia esiste già un termine che fa riferimento al mondo animale per indicare la molestia rivolta alle donne negli spazi pubblici. E’ un termine che definisce il molestatore come un pappagallo: si tratta del PAPPAGALLISMO ovvero il “Comportamento da «pappagalli della strada», proprio cioè di chi, in modo insistente e grossolano, importuna le donne per la via”.
Un termine noto anche nella nostra lingua da un bel pò, in risposta a chi dice che al giorno d’oggi ce le inventiamo tutte le parole per passare da vittime di comportamenti che sono sempre stati considerati normali (cit. l’uomo qualunque, in un posto qualunque, in un momento qualunque, che parla del nulla con nessuno, ma anche donne che hanno introiettato la stessa cultura misogina e patriarcale dell’uomo qualunque…).
Entrambi i termini stanno ad indicare la molestia sessuale che avviene per strada, in pubblico, da parte di sconosciuti. Una molestia che purtroppo non solo nel passato ma anche oggi, è diffusamente considerata come una forma di apprezzamento, di complimento, al quale dovremmo anche rispondere sorridendo.
Ciò che si ignora è che nello spazio pubblico vi sono delle regole non scritte di comportamento, ed una di questa riguarda una diffusa indifferenza, e la mancanza di un contatto intimo e prolungato che ci faccia, ad esempio, intrattenere delle conversazioni con delle persone sconosciute. Sebbene sia considerato piuttosto strano che ci si fermi per strada a parlare con persone sconosciute ed intrattenere una qualsiasi conversazione con loro, ci troviamo ad essere giudicate esagerate se un uomo per strada ci grida “ehi bella, cerchi compagnia?”. Non sarei giudicata normale se per strada fermassi le persone per fare dei commenti sul loro aspetto fisico o su ciò che indossano. Ma come donne dobbiamo accettare tutto questo come un complimento, e non risentirci, per evitare che il “complimento” si trasformi in insulto o aggressione.
Quando rivogliamo un COMPLIMENTO ad una persona, il nostro obiettivo è quello di farla sentire meglio, giusto? Quindi non faremmo o diremmo mai qualcosa che possa metterla a disagio. Prima di fare un complimento ci sinceriamo che la persona a cui lo rivolgiamo lo consideri tale, giusto? Ecco, allora finiamola con questa pantomima della molestia mascherata da complimento.
Lo street harassment limita la libertà di muoversi nello spazio pubblico, è una grave forma di violenza di genere che talvolta sfocia nello stalking e spesso incute paura di trovarsi in luoghi pubblici, soprattutto perchè accompagnato da una indifferenza generale supportata dall’idea che si tratti, se non di complimenti, almeno di attenzioni al limite non troppo educate. Si tratta di una delle peggiori forme di sessismo, perchè parte dall’idea che ad una donna si possa dire tutto ciò che si vuole, in qualsiasi luogo, ed in qualsiasi momento. Spesso sentiamo di dover modificare i nostri comportamenti per non incorrere nella molestia, dando per scontato che ad essa non vi sia soluzione.
“Fattela una risata” è la risposta qualora non ci sentissimo tanto spiazzate o vulnerabili da poter reagire ad una violazione del nostro stare in pubblico, nel caso in cui reagissimo. E raramente ci capita di avere una reazione immediata, le ragioni sono tante, e conoscere le dinamiche della violenza e delle molestie non ci rende invulnerabili. Perchè non è un nostro problema, ma è il problema di una società che ci considera naturalmente predisposte ad esistere per il piacere e la considerazione dell’uomo: ed infatti il desiderio di ogni donna è quello di coronare il proprio sogno d’amore con un uomo che la fischia per strada o la palpeggia un pubblico, come negarlo? Sembra veramente surreale che possa essere così radicata una convinzione del genere…voglio dire: ma ci ragionano con il cervello?
Quindi, se non ci sentiamo lusingate dalla molestia travestita da avance o battuta di spirito, siamo donne insoddisfatte, arrabbiate, poco inclini alla socialità, prive di senso dell’umorismo, sessualmente represse, e potrei continuare all’infinito, ma invito voi a farlo nei commenti, raccontando le vostre esperienze, e condividendo le reazioni che avete avuto o avreste voluto avere, perchè possiamo reagire insieme e sentirci al sicuro.
Sulla molestia sessuale in luogo pubblico è stato detto tanto, sono state raccolte testimonianze, messi in campo esperimenti sociali, scritto documenti e lavorato duramente perché venisse riconosciuta come un reato, perché ne venisse riconosciuta la portata in termini di conseguenze sul piano psichico. Chi di noi non ha avuto esperienze simili? Chi non le ha quotidianamente? Chi non ha provato disagio o non si è sentita colpevole di avere in qualche modo provocato una molestia? D’altronde, se viviamo in un mondo che prima dello stupratore condanna socialmente la donna stuprata troppo libertina, provocante, giovane, bella, ubriaca, drogata, non ci stupisce affatto la diffusa indifferenza in tema di street harassment, ed è forse per questa ragione che abbiamo difficoltà a condividerne gli aspetti più intimi. A volte è difficile spiegare in parole un disagio, ed è solo condannando l’idea che tutto ciò abbia a che fare con un complimento che riusciremo parlare di una esperienza che di certo ognuna di noi ben conosce.
Spesso ci troviamo a tenere conversazioni sul tempo con uomini di cui conosciamo a malapena il nome, che non vogliono fare a meno di infilarci allusioni sessuali, apprezzamenti e riferimenti che manifestano esattamente la dimensione in cui collocano ogni donna: un oggetto sessuale, nella cui intimità possono entrare quando e come vogliono, come se in risposta dovessimo essere grate di queste attenzioni. Accade. Continuamente. A me è accaduto anche qualche tempo fa: da una banale conversazione di vicinato, nel giro di due tre battute, nessuna della quali sessualmente allusiva o che facesse pensare ad una mia disponibilità ad avere conversazioni a sfondo sessuale, mi sono trovata a ricevere un invito che il segaiolo seriale ha definito un “aggiungere del pepe alle conversazioni”, ovvero andare a fare il bagno nella sua piscina anche se non avevo il costume a portata di mano. L’ometto in questione ha sempre dato l’impressione di sopravvalutarsi, ma nonostante questo per me è’ stato come un pugno in faccia. Caspita, un pugno in faccia che mi ha fatta cadere in ginocchio, a pensare che non potevo di certo farla passare così. Poi mi sono alzata, ed ho ricordato a me stessa che gli uomini come lui meritano una risposta molto ben ragionata, senza fretta….la rabbia che ho avuto verso di me per non aver risposto come avrei voluto ora è tutta concentrata su di lui, e la mia risposta è arrivata.
Pensateci, accade ogni giorno, ed ogni giorno possiamo fare la differenza, nessuno può dirci che dobbiamo sorridere quando si violano i nostri corpi, la nostra libertà di camminare per le strade o intrattenere rapporti con le persone.
Noi ridiamo e sorridiamo quando vogliamo, per chi vogliamo, se vogliamo: prima di aprire una porta si deve bussare, chiedere se si può entrare ed attendere una risposta, che non è dovuta, mai.
Un paio di anni fa, a New York, mi sono imbattuta in un libro per caso, ma come vi ho raccontato, quando entro in una libreria i libri mi rimangono attaccati alle mani! Girando per Barnes and Noble, mi è caduto l’occhio su questo libro “Stop Telling Women to smile” di Tatyana Fazlalizadeh. In copertina una citazione di Spike Lee “Tatyana’s art does what all great art does: tells the truth about our times”.
Ho aperto la prima pagina dell’introduzione
“I was still a girl when my body began to change. When it started to be ogled, stared at, whispered to, touched, followed. No sooner had I begun to understand my own developing body than it began to no longer feel like my own. It felt like a thing. A thing that men wanted. That was when I started to feel uncomfortable, and unsafe. It seemed as thought my body existed for men’s pleasure, and it became something. I was forced to dress myself in for other’s enjoyment”
In un istante sono tornata indietro di trenta anni, quelle parole sembravano mie. Ho ripercorso la mia vita di ragazza poi donna esattamente immersa in quello stato di disagio e insicurezza, gli episodi di molestia ai quali ho reagito e quelli di fronte ai quali sono rimasta impietrita. Parlava di me, parlava di tutte noi.
Attraverso le parole di Tatyana scopriamo quanto spesso siamo colpite dalla molestia sessuale che arriva senza preavviso, in ogni luogo, con la pretesa di essere accolta come un’attenzione positiva, un complimento, una manifestazione di apprezzamento ed ironia. E quante volte facciamo i conti con la frustrazione di essere rimaste immobili, o avere dato risposte troppo poco incisive per non essere definite carenti di senso dell’umorismo. Accade, ogni giorno, in ogni luogo. E Tatyana ci dice esattamente di cosa si tratta: la molestia ricevuta per strada è molestia sessuale in un luogo pubblico. Senza consenso, senza aver esplicitamente mostrato di vole ricevere apprezzamenti sulla propria fisicità, sul proprio abbigliamento, sul proprio modo di camminare e stare nello spazio pubblico. Nessun consenso.
Ogni tanto apro questo libro, per ricordare a me stessa che parlare di una molestia ricevuta in luogo pubblico, è semplicemente la cosa più naturale che possa fare, visto che nessuno chiede a me il permesso di violare la mia libertà di muovermi: se proprio non ce la fate, sarete esposti al pubblico ludibrio, ci sta.
La cultura misogina ha talmente tanto influenzato le nostre vite ed il nostro pensiero che non capita raramente di parlare con altre donne di molestie sessuali, e trovarsi di fronte alla svalutazione di ciò che comunemente viene considerato “ben altro rispetto alla violenza che seriamente le donne subiscono”. Proviamo allora a ragionare insieme, prendendo spunto dalla pratica dell’azione del conflitto che ci è stata trasmessa attraverso le storie delle donne che hanno accompagnato fin qui il movimento femminista – vedi Gloria Steinem che non considerava sé stessa neanche una femminista, scoprendo di esserlo attraverso la pratica ed il confronto. La violenza di genere, in ogni sua forma e dinamica, è sempre una violenza rivolta alle donne in quanto donne, che provoca sofferenza fisica o psichica, che ha come obiettivo quello di fissare e mantenere il potere ed il controllo su di noi, attraverso ogni mezzo. La violenza fisica è quella visibile, il femicidio è l’ultimo atto. Ma prima di tutto ciò, e contemporaneamente, vi sono tutte le altre forme di violenza che quotidianamente subiamo da parte di uomini sconosciuti e non, che la società tutta copre attraverso la giustificazione, il giudizio costantemente pendente su di noi, l’assoluzione attraverso la svalutazione dei comportamenti. Un uomo che non ha difficoltà a molestare una donna per strada, a dare una pacca sul culo alla cronista che sta facendo un servizio sportivo in diretta, che se ne esce con frasi del tipo “io a quella stronza la farei stuprare da un branco di negri” come punizione per essere, appunto, a lui poco simpatica, è irrimediabilmente un uomo che non ha altra considerazione di noi se non quella che muove appunto tutta la violenza che siamo abituate/i a considerare l’unica violenza contro le donne, ovvero le botte. Non considerare il richiamo in luogo pubblico una molestia sessuale, spalanca le porte a tutto ciò che giustifica lo stupro in ogni altro luogo: se vai in giro da sola, non puoi non aspettarti che ti fischino o richiamino per strada; ergo, se vai in giro di notte, da sola, magari in minigonna, addirittura ubriaca, non puoi non aspettarti che ti stuprino; ed ancora se vai in giro senza tuo marito, ti fai vedere con altri uomini, esci con le amiche magari non sposate, non puoi non aspettarti che lui non ti massacri di botte. Non sono esasperazioni della realtà, questa è la realtà: una realtà che riguarda tutte e tutti noi, i nostri discorsi, i ragionamenti in famiglia, ciò che ascoltano i nostri figli e le nostre figlie, ciò che portiamo nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nelle conversazioni al bar, fino dentro le aule di Tribunale, nei commissariati di Polizia, negli Ospedali. Perchè in tutti questi luoghi ci sono persone che agiscono coerentemente con la propria visione della realtà. Allora è necessario riavvolgere il nastro, partire dalle conseguenze estreme, fino ad arrivare alla molestia in luogo pubblico: e rispondere a chi ci dice che ci sono ben altri problemi prima del catcalling, che il catcalling rappresenta una delle radici alla base di quei problemi. E che soprattutto siamo noi a stabilire cosa consideriamo molestia sessuale e cosa no, non occorre che ce lo spieghi qualcun altro. Trovo urticante tutto lo spreco di fiato di chi crede di esprimere un pensiero intelligente quando afferma che le battaglie femministe sono altre, che il catcalling è qualcosa che tiriamo fuori per attirare l’attenzione quando i problemi sono ben altri, fino ad arrivare a definire tutto ciò frutto di un atteggiamento vittimistico. Squalificare e criticare la battaglia contro il catcalling, vuol dire ignorare le voci delle donne, sostituirsi alle loro testimonianze ed ai loro vissuti e definire per loro cosa sia una violenza, una molestia, una violazione di essere libere di muoversi nello spazio pubblico. Vuol dire imporre loro di tacere perchè ciò che provano non esiste. Ed è quello che storicamente è accaduto con la violenza all’interno delle mura domestiche, con lo stupro, con i matrimoni combinati, con gli abusi sui minori: “se non lo nomini, non esiste. Quindi taci, perchè è un tuo capriccio, se hai un bel culo e te lo gridano per strada, prendilo come un complimento, che le donne hanno ben altri problemi.”. Le donne…le altre donne, non tu. Troveremo sempre grandi esperti ed sperte delle nostre vite e dei nostri vissuti, dei linguaggi che usiamo, delle lotte che agiamo. Lasciamo che parlino, alzeremo di più la voce.
The Blondoner è il canale Youtube attraverso il quale Giulia Saravini Lazzarotti, attivista femminista italiana che vive da cinque anni a Londra, racconta della sua vita da expat, dei suoi viaggi e della vita londinese, ma anche di temi sociali: lo fa senza mai togliersi quel paio di lenti femministe che ha scelto di indossare diversi anni fa. Non conosco Giulia di persona, ma “ci frequentiamo” attraverso i social, e spesso nel leggerla ritrovo pezzi delle mie riflessioni, del mio percorso, della mia vita, la stessa ironia e lo stesso sarcasmo con cui ho affrontato ed affronto una vita per nulla semplice. Mentre girava uno dei suoi video sugli affitti delle case a Londra, Giulia è stata bersaglio di catcalling. La sua consapevolezza di fronte ad una molestia ricevuta in pubblico, ha mosso il bisogno di renderla pubblica, proprio a dimostrazione del fatto che è esattamente ciò che avviene in ogni momento della vita, quando semplicemente attraversiamo lo spazio pubblico: Giulia fa una riflessione molto importante sul condizionamento. Non aggiungo altro, perchè vorrei che vi fermaste a vedere il suo video, per vederne poi anche altri e seguire il suo canale Youtube, compresi i suoi simpaticissimi short videos!