Cultura

PER FARE UN ALBERO, CI VUOLE UN LIBRO

Tempo di lettura: 13 minuti

Sergio Endrigo, Gianni Rodari, Luis Bacalov: tre grandi artisti che hanno avuto il merito, tra i tanti, di aver fatto entrare nelle nostre vite una delle canzoni pià amate da bambine e bambini di ogni epoca. “Ci vuole un fiore” è un motivetto allegro, che trasmette un importante messaggio ambientalista: tutto viene dalla natura, e la nostra esistenza dipende da lei, da un fiore, che è il principio di tutto. Senza un fiore non potremmo avere un tavolo.

Le cose di ogni giorno raccontano segreti
A chi le sa guardare ed ascoltare

Ma oggi, purtroppo, abbiamo talmente perso la consapevolezza di quanto la nostra vita sia connessa alla natura, da non dare più alcun significato a quel motivetto, scritto da chi è riuscito a far uscire la magia dalle parole. Quindi, per fare un albero, occorre un libro. Occorre ridare valore alle parole.

Notizia ricorrente nella mia città: l’amministrazione, guidata dalla Lega, si arma di potenti motoseghe per abbattere gli alberi della città. Per la precisione si tratta di filari di pini, alberi che costituiscono un patrimonio del nostro Paese, che hanno da sempre popolato le nostre città, e che ormai stanno subendo una vera e propria strage armata dall’ignoranza, dal disinteresse, dalla mediocre azione di sindaci ed amministrazioni che non pongono per nulla al centro della loro agenda la salute, il benessere, la salvezza delle popolazione e dell’ecosistema. Si tratterebbe di salvaguardare un diritto universale ma…vabbè…dettagli, non si può mica fare tutto.
Le proteste per impedire questo scempio – che peserà sulla nostra salute già duramente messa alla prova da un’economia che ha sostituito il benessere con il clientelismo, con la propaganda, con il profitto di alcuni a danno di molti – hanno purtroppo degli esiti insoddisfacenti. La causa del fallimento di ogni protesta è piuttosto semplice da riscontrare: sta nella montagna di menzogne che sono state minuziosamente e ripetutamente messe in campo per nutrire quella già diffusa ignoranza che ormai stringe la nostra società in un abbraccio mortale, con la quale purtroppo abbiamo sempre più a che fare attraverso i social networks che contribuiscono ad intrattenere la popolazione a colpi di analfabetismo funzionale, mentre le motoseghe compiono il loro rito di morte.
“I pini non sono adatti alle città, possono cadere, uccidere, arrecare danni alle auto, alle abitazioni”
“Le radici dei pini sollevano l’asfalto, creando pericoli alla circolazione, e impedendo la fruizione dei marciapiedi”
Di solito queste sono le dichiarazioni di improvvisate/i assessore/i all’ambiente, al verde pubblico, che in vita loro non hanno mai piantato neanche del basilico in vaso. E di solito queste dichiarazioni arrivano a seguito di eventi meteorologici che hanno causato la caduta di alberi, di rami, con disagi alla popolazione. A loro piace vincere facile.
E comunque, se messi alle strette, possono sempre dire che quelli prima di loro avrebbero dovuto fare di più, di meglio, diversamente. Ormai siamo abituate/i a questa penosa rappresentazione in cui ciò che conta, per chiunque, è parlare di ciò che gli altri non fanno, non di ciò che va fatto e che faranno. “Che ti ci tengo a fare?” è la domanda a cui deve rispondere chi amministra la mia città. Perchè per giocare a “specchio riflesso” non occorrono grandi doti, noi da bambine lo facevamo meglio, e siamo cresciute più intelligenti.
Frasi ripetute come mantra, fino ad entrare nel vocabolario quotidiano delle solite persone che non hanno alcuna voglia di buttare uno sguardo al di là della mediocrità. Una ripetizione che mette a dura prova chiunque abbia almeno tre neuroni contemporaneamente svegli.

Succede da molto tempo in tutte le città d’Italia, quella in cui sono nata e cresciuta è una delle tante: quella in cui, per dirla con le parole di un amico “la seconda ripassata dopo la motosega probabilmente la daranno con il Napalm”</strong<


Nelle città in cui non crescono alberi, non cresce nulla.
Nelle città in cui si abbattono alberi, si abbatte l’umanità.

Le testate giornalistiche locali poi pubblicano quotidiani aggiornamenti sullo stato dei pini in città e sui prossimi abbattimenti, giusto perché hanno capito che il tema fa guadagnare loro in clickbait, ma questa è un’altra storia, che però ha sempre a che fare con la povertà culturale di cui sopra, eretta a a giornalismo da scantinato.
Ordunque, dal momento che sono nel periodo in cui ogni tanto vado a vedere cosa accade nella mia poco ridente cittadina governata dalle destre impresentabili prima ancora che radicali, leggo della notizia dell’ennesimo abbattimento dei pini che hanno caratterizzato la storia di uno dei quartieri più belli della città. Ovviamente, giorni fa c’è stato uno di quei temporali estivi disastrosi: avete presente quelle perturbazioni imprevedibili che stanno caratterizzando il mondo intero colpito del cambiamento climatico frutto dalle emissioni di gas serra? Avete per caso percepito il lieve aumento delle temperature degli ultimi anni?
Dalle mie parti, pare che tutto sommato non sia stato poi così sconcertante, se all’abbattimento dei pini la popolazione ha risposto commentando così – attenzione, per la vostra salute, vi suggerisco leggere i commenti a digiuno, la sensazione di vuoto a cui sarete sottoposte/i potrebbe causare nausea e vomito:
“Tanto qui funziona così: li tagliano e se la prendono con il Comune, se fossero caduti per intemperie sempre al Comune avrebbero addebitato la responsabilità, critiche ovunque per incuria…perchè si sarebbero dovuti potare e non è stato fatto!!! Li hanno tagliatic’è più luce e più sicurezza per tutti. Quella tipologia di alberi sono da campagna, da bosco non da città…fateve una ragione!” Il commento di un avvocato…a dimostrazione del fatto che non conta in cosa tu sia competente, l’importante è mettere i punti esclamativi per avere ragione. Nel frattempo agronomi, scienziati ed ingegneri ambientali, botanici, apprendono che non era poi così importante la competenza specifica, bastava essere competenti in qualcosa.
La risposta “Ma secondo te l’utente medio sottoculturato che segue queste pagine capisce qualcosa? Livello culturale TGCOM24/Mentana, non leggono, se leggono non capiscono”: l’argomento è serio,ma devo dirvi che a scrivere questa risposta è il segreteraio di casapound della mia città – si, non ci facciamo mancare nulla, abbiamo anche loro oltre l’inquinamento atmosferico. Il fatto che parli di sottocultura facendo riferimento a qualcuno che non sia lui stesso o la sua cerchia di frequentazioni, fa già ridere così, una nota di colore.
“Daje (trad. “forza”) motoseghe; giù con la miscela”
“E luce fu…per fortuna” ma anche “I pini stanno bene al mare”: forse un collega dell’avvocato, o forse direttamente laureato all’università della vita.
“A me piace di più così francamente”: intervento della fashionist, la nota di stile ci sta sempre bene
“Più arioso”
Mi fermo…non avvertite anche voi quella sensazione di disagio diffuso? Di vuoto cosmico?
La gente inneggia all’uso della motosega in città, deridendo chi invece si oppone all’abbattimento degli alberi, squalificando chi pretende delle spiegazioni e valide soluzioni con la consapevolezza delle conseguenze che stiamo già pagando. Ma da dove viene tutta questa ignoranza, e soprattutto: perché non si prova il minimo imbarazzo nel sostenere pubblicamente che abbattere alberi è bello, che sia ridicolo pretendere la conservazione e la manutenzione, il confronto con la cittadinanza? Dove sta il problema? Ma dove hanno lasciato quel minimo sindacale di dignità che dovrebbe preservarci dal mostrare tanta ignoranza? Certo, dimentico che al governo della mia città c’è chi dell’ignoranza fa un vanto…qualcuno li avrà votati.

Fomentatori di ignoranza

Mi duole dirlo, ma fortunatamente lo hanno già fatto prima di me organizzazioni ed individui che alla nostra salvezza cercano di contribuire: a dare voce a questo disagio sono i personaggi come Jovanotti, che senza alcuna vergogna appella come “nazi ecologisti” tutti coloro che hanno criticato il suo Jova Beach Party, una mega operazione di green washing che ha letteralmente preso d’assalto le spiagge della penisola con la scusa della sensibilizzazione al rispetto dell’ambiente, senza mai avere aperto un confronto con le organizzazioni ambientaliste. Le risposte di Jovanotti alle legittime critiche e preoccupazioni di esperte/i ed organizzazioni hanno hanno fatto uscire dalle gabbie i leoni e le leonesse dell’hate speech che, agganciandosi al termine “nazi ecologisti” si sono spinte/i fino a definire “rompicoglioni” le specie animali protette. Grande Jova, si vede che sei un artista, ma giusto quello per chi ti segue, perché per essere anche un attivista, avresti dovuto confrontarti con il mondo dell’attivismo ambientalista – solo per citarne una parte: Enpa, Legambiente, Italia Nostra, Greenpeace, Pro Natura, Lav, Lac, comitati locali, Wwf, Lipu – e mettere sul tavolo una grande umiltà, che evidentemente non possiedi. Altrimenti ciò che fai si chiama esattamente greenwashing: puoi tentare di squalificarlo a mero hashtag quanto vuoi, ma forse a crederti saranno soltanto le persone che non vedono al di là del tuo zompettare sul palco e che sono convinte che basti il testo di una canzone a salvare il pianeta. Il mondo dell’attivismo e dell’artivismo ha ben capito da che parte stai. Dalla parte del tuo profitto, tranquillo non sei il primo, non sarai l’ultimo.
La grande e grave responsabilità di questi personaggi che hanno discutibile visibilità, è quella di alimentare e legittimare l’ignoranza dei commenti che ho accennato. Definire chi investe la propria vita, le proprie competenze, la propria conoscenza, nella difesa di un qualsiasi diritto umano come “nazi-qualcosa”, richiama alla mente le attività di censura, di sterminio, di privazione della libertà, di violazione di diritti umani fondamentali. La spontaneità con cui ha utilizzato il termine “nazi”, inoltre, offende gravemente la memoria del mondo intero, per il quale essere nazi ha un solo significato. Il fatto che prima di lui lo avessero schifosamente fatto i negazionisti del Covid, definisce unicamente lo spessore culturale che si cela dietro le sue iniziative. Inesistente.
Un movimento intero è stato deriso, a partire dalla giovane Greta Thunberg che ha saputo toccare le coscienze di giovani ragazze e ragazzi in tutto il mondo, che pagano le conseguenze del menefreghismo dei loro stessi genitori, trasformatosi talvolta in pura derisione. Ci vuole un gran coraggio a squalificare tutto questo, ma io sono convinta che sia la conseguenza della vergogna con cui intere generazioni non riescono a fare i conti. Cosa dobbiamo dire ai figli ed alle figlie dei tifosi della motosega? Come possiamo riparare a questi danni se, per ogni generazione di persone impegnate, consapevoli, attive, se ne affianca una di coglioni che hanno introiettato la cultura dell’individualismo talmente sfrenato da portare all’autodistruzione? Purtroppo quella privazione di ossigeno e benessere non è selettiva, non può andare solo a scapito di chi ne è complice. La subiamo tutti e tutte, respiriamo tutte e tutti la stessa aria, subiamo tutti e tutte le stesse conseguenze, prime fra tutte quelle di azioni intraprese senza un confronto con la cittadinanza. Pensiamo veramente che la democrazia sia rappresentata dalla possibilità di commentare una notizia di giornale che ci sta parlando di decisioni già prese? Mi rendo conto di vivere in un mondo in cui la cultura della partecipazione è per lo più sconosciuta.
Ciò che fanno le destre radicali non è altro che affondare il coltello in una piaga già aperta da altri. Non sarebbe così semplice, altrimenti. Io ho ricordi di gestioni del verde pubblico affidate attraverso gare di appalto al massimo ribasso, ovvero senza alcuna cura delle competenze. Ho memoria dei marciapiedi costruiti intorno ai pini che oggi vengono oggi abbattuti: la Dottoressa “Grazialcazzo” direbbe che anche un bambino avrebbe potuto prevederne gli effetti, soprattutto senza figure esperte che negli anni fossero preposte alla cura ed alla manutenzione di alberi imprigionati nell’asfalto. Cura e manutenzione: due parole che in sé contengono la cultura della preservazione, che letteralmente sta a significare “azione intesa a garantire contro le insidie dell’ambiente o del tempo”. Chi risponde di un danno così grave e così grande al nostro presente ed al nostro futuro? Chi riparerà il danno al patrimonio più importante per la nostra vita?
Gli alberi, oltre ad assolvere al gravoso compito di purificare l’aria che noi abbiamo reso putrida, donano alla nostra esistenza tutto il beneficio che solo la natura è in grado di dare: è vita che scorre, che trasmette con i suoi colori ed i suoi mutamenti il senso della trasformazione, della continua rinascita. La natura si prende cura di noi, ma solo se noi ci prendiamo cura di lei, in un circolo virtuoso unico ed insostituibile. Non esiste nulla che possa essere paragonato allo stare nella natura, se riuscite a convincervene mi dispiace ma dovete farvi vedere da uno bravo, perché vuol dire che state negando la vostra stessa esistenza.

Sono qui che scrivo e non sono nella mia città, ma altrove, lontano

Fuori dalla finestra, due enormi alberi arrivano quasi a toccare le mie piante, e questo facilita la visita quotidiana di uno scoiattolo che viene a prendere le mie noci – poi le nasconde nei vasi, ma si sa che lo scoiattolo ha memoria corta, quindi le ritroverò lì in primavera; gli uccelli si alternano a mangiare i semi che lascio nella casina di legno che ho messo per loro: vengono in coppia perché mentre uno mangia l’altro tiene d’occhio il territorio, ma se hanno il nido allora se la rischiano e si alternano. Ci sonno le api, che ormai entrano ed escono da casa perché tanto i fiori sono fuori. Il mio cane sdraiato al sole osserva tutto questo, rientra quando il traffico delle visite si fa intenso e lui sa che tanto non riuscirà a prendere nessuna delle prede. Anche qui spesso il vento soffia forte, i temporali spaventano. A volte credo che un albero prima o poi si appoggerà definitivamente sul palazzo, ma poi sento ogni settimana rumori di taglia erba, di seghe per la potatura. Non ho mai visto tagliare un albero preventivamente. Anche quando fa tanto caldo, possiamo contare su questi giganti ventagli che abbassano le temperature.
Stamattina sono uscita per la consueta passeggiata a sei zampe: attraversiamo il parco, poi i campi, entriamo nel bosco, incontriamo gli animali che lo popolano.

Nel parco, sono stati piantati alberi da frutto: chiunque può cogliere mele, ciliege, prugne, lasciando la giusta quantità che, cadendo, resterà accessibile agli animali di passaggio. Il prato viene quotidianamente curato, con la particolare attenzione a non tagliare aree in cui è necessario lasciare fiori ed erbe spontanee, per le api e per tutti gli altri animali che vi possono trovare rifugio e nutrimento. Dettagli che assicurano la perfetta armonia.

Nel mezzo del percorso c’è un piccolo parco geologico sempre aperto, giorno e notte ed a noi piace attraversarlo. E’ un parco didattico, per far scoprire cosa ci fosse in quell’area milioni di anni fa, cosa è stato scoperto, quali piante, quali animali la abitassero. Stamattina due persone erano impegnate con le arnie delle api, mi sono fermata per fare la foto ad un albero. Tutto è predisposto per un percorso sensoriale, per poter camminare a piedi nudi, per poter toccare con mano il valore unico ed insostituibile della natura, che attraverso milioni di anni ha sempre saputo rigenerarsi e dare vita.

Chiunque potrebbe vandalizzare il parco geologico, il bosco, infastidire gli animali, incendiare gli alberi. Ma nessuno lo fa.
Cosa fa la differenza? Forse il fatto che sia possibile apprezzare ad ogni angolo, in ogni strada, nelle scuole, nelle case, il contributo inestimabile della natura alla nostra esistenza? Forse il fatto che proprio ai limiti del bosco ci siano il nido, la scuola dell’infanzia, la scuola primaria che offrono ai bambini ed alle bambine la grande opportunità di svolgere le lezioni con Madre Natura in ogni stagione?
Non saprei di preciso, ma io so che quando sono nella città in cui sono nata e cresciuta, per fare una passeggiata con il mio cane e rigenerarmi nella natura devo prendere l’auto, perché intorno alla mia casa ci sono marciapiedi, parcheggi, sudiciume, degrado, e il poco verde è quello che invade le strade senza che nessuno se ne prenda cura. Perché ogni polmone verde della mia città deve per forza essere circondato da strade a scorrimento e parcheggi. Perché anche per andare al parco, come per portare la prole a scuola, la gente deve lasciare l’auto a portata di lurido individualismo. Tutti di corsa, anche per una passeggiata. 
Non bastano le parole, non bastano i proclami, occorre consapevolezza, cultura, buon esempio. Un buon esempio che purtroppo è una parte della mia generazione a non saper dare, quella parte che, quando noi si studiava, si preoccupava di farsi raccomandare pure per prendere un diploma,  che dopo una serata in discoteca era strafatta per tutta la settimana successiva, quella che considerava le persone come me sfigate perché partecipavano alle proteste per diritto allo studio e giustizia sociale e cercavano di costruire un altro mondo possibile. Quella parte della mia generazione ha comunque generato nuova vita, e nuovo disagio. Non sempre, ma in buona parte.

Io sono felice di essere dalla parte delle persone sfigate, quelle a cui l’attivismo ha salvato la vita.

Ed è per questo che per fare un albero ci vuole proprio un libro. Chi legge non potrà mai non avere gli occhi aperti sul mondo, non potrà mai credere che abbattere un albero sia un’azione priva di conseguenze. Seminare amore per la lettura non può che contribuire all’amore per la cultura, che si trasforma in desiderio di contaminazione attraverso la capacità di trasmettere buone azioni. Tiziano Terzani ha trovato il migliore dei modi per trasmettere a suo nipote il valore della vita di ogni singolo albero, semplicemente applicando due occhi ad un albero.
Il Sindaco sostiene di essere un grande lettore di Tolkien, e di amare particolarmente “Il Signore degli Anelli”: ora mi è chiaro che lui sta dalla parte di Sauron, ed i suoi elettori non sono altro che gli orchi affamati di odio e brutti come la morte. Il buio del potere distruttivo, da cui non nasce nulla se non disprezzo per la vita e la bellezza.

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