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C’ERA UNA VOLTA L’ABORTO NEGATO, E C’È ANCORA
20 Ottobre 2022
La Legge 194/78 è in pericolo, inutile girarci intorno. Lo è da sempre, perché sin dalla sua nascita contiene un principio che la rende vulnerabile e talvolta impraticabile. Si tratta dell’articolo 9 che sancisce il diritto a non prendere parte alle procedure per l’interruzione di gravidanza per il personale sanitario ed ausiliario, qualora sia stata dichiarata la propria obiezione di coscienza. L’obiezione di coscienza non è applicata alle procedure pre e post intervento. L’articolo 9, all’epoca dell’approvazione della legge 194, costituiva una norma transitoria. Occorre infatti tenere in considerazione l’epoca storica in cui è avvenuto l’iter di approvazione, e come fosse disciplinato l’aborto prima del 1978.
Voglio tentare un piccolo viaggio a ritroso nel tempo
per arrivare fino ai giorni nostri, con il pensiero rivolto a chi ha vissuto l’epoca precedente l’approvazione della legge, a chi ha lottato perché potessimo ottenerla, a chi ha vissuto l’epoca del diritto ottenuto ma vulnerabile agli attacchi, ed infine a tutte le giovani donne, con la speranza di metterle in contatto con intere generazioni di donne consapevoli di quanto un diritto non sia mai definitivamente acquisito. Sarà un viaggio lungo e forse imperfetto, ma vale la pena prendere del tempo per attraversarlo di nuovo, o per la prima volta.
Non sopporto chi dice che “queste giovani di oggi pensano che tutto sia loro dovuto”, che “devono svegliarsi perché NOI abbiamo lottato tanto”, soprattutto quando queste parole escono dalla bocca di attiviste femministe che hanno vissuto epoche storiche fatte di esclusioni e complicati conflitti intergenerazionali, di pregiudizi e derisione. Occorre praticare confronto e conflitto, ascoltare ed osservare, o per favore non definiamoci attiviste femministe. Io ringrazio chi ha saputo ascoltare e spiegare quando ancora ero troppo giovane per capire quanto i nostri diritti fossero a rischio.
Mia madre è nata nel 1945, io nel 1978: sono nata quando la legge 194 era appena stata approvata, esattamente da 18 giorni. Ma cosa accadeva prima del 22 maggio 1978? Cosa accadeva quando mia madre era giovane? L’aborto era illegale, ovvero inserito nel Codice Penale – il Codice Rocco di epoca fascista – che puniva il delitto di aborto sotto il titolo dei delitti contro l’integrità e la sanità della stirpe.
Le avevo sentito raccontare, in diverse occasioni, la storia di una sua giovane vicina di casa, che morì a seguito del tentativo di abortire bevendo un decotto di prezzemolo. Le sue urla di dolore prima della morte, raccontava, vennero udite da tutto il vicinato. Urla di dolore, di morte, una scelta di libertà punita nel nome di Dio, ma per mano dello Stato, per mano dell’uomo. Questo è probabilmente ciò che ha condizionato buona parte del mio percorso di attivista femminista. E’ stato quel primo passo che dal marciapiede da cui osservavo comodamente lo scorrere del mondo, mi ha fatta scendere in strada per protestare e rendermi parte attiva del cambiamento, e probabilmente ciò che mi ha fatto arrivare fino al punto di chiedere la cancellazione del battesimo: non accetto che la pura invenzione degli uomini dell’esistenza di un Dio che mi vuole prostrata al dolore, al bigottismo, alla violenza, fino alla morte, possa anche solo lontanamente sfiorare la mia esistenza. Lungo il cammino, altre donne hanno arricchito la mia conoscenza, fornendomi strumenti per poter approfondire. Una di loro era una ostetrica, che mi raccontava degli abusi a cui erano sottoposte le donne che abortivano in ospedale da medici e personale obiettore: una cara amica morta nel 2013, che ha segnato il mio attivismo in maniera direi decisiva, attraverso la sua esperienza nel movimento femminista romano tra gli anni Sessanta e Settanta. Infine mia zia, strumentista di sala operatoria, che ha scelto di entrare a far parte dell’equipe per le interruzioni di gravidanza in questa nostra epoca, in cui l’obiezione di coscienza sta impedendo alle donne di accedere ad un diritto sancito da una legge, ancora una volta appellandosi ad una morale religiosa e bigotta che altro non definisce se non l’eterna volontà di controllare i nostri corpi per controllare le nostre vite. Si appellano alla religione, obiettano per opportunismo carrieristico.
Ben prima del 1978, la parola “aborto” non veniva pronunciata in luogo pubblico, la sua pratica clandestina non era oggetto di narrazione, c’era ma non nominarlo non lo faceva esistere agli occhi e nelle coscienze. Ma la solitudine era reale, la paura anche.
Nella clandestinità si moriva di aborto, ci si affidava alle mammane in luoghi clandestini, insalubri, lontane da occhi indiscreti ma spesso anche all’interno delle proprie case, per interrompere gravidanze non volute per molte ragioni, spesso perché conseguenza delle violenze subite da parte dei mariti, violenze considerate non come tali in una società patriarcale impregnata di cattolicesimo, che definiva una morale in cui la sessualità era un tabù, i ruoli non discutibili e quindi la possibilità di non avere figli neanche contemplata, figuriamoci se il consenso ai rapporti sessuali poteva essere qualcosa di cui discutere all’interno della relazione coniugale.
Si ricorreva talvolta a dei veri e propri macellai incuranti degli esiti ma sensibili al portafogli, più spesso alle mammane, considerate come le “fattucchiere” complici di reato: avete presente la storia della stregoneria e dei Sabba, della caccia alle streghe colpevoli di malefici? Tradotto nella realtà è l’aiuto che le donne sin dalla notte dei tempi hanno offerto a altre donne quando il mondo intero non lo faceva: è la libertà delle donne che è stata dipinta come malefica e portatrice di guai, quindi ad essere condannate erano tutte le donne in quanto criminali o complici.
Quando sentite dire che quello della prostituta è il mestiere più antico del mondo, rispondete tranquillamente che non è vero: il mestiere più antico del mondo è quello dell’ostetrica. Abbiamo sempre fatto da sole, ma è dura da accettare, meglio dire che siamo sempre state puttane.
Le mammane usavano strumenti ricavati, quelli che attraverso i secoli sono stati adattati per poter praticare un aborto, dal momento che nessuno strumento è stato concepito a questo scopo. A questo proposito, date un’occhiata alla pagina del Museo della contraccezione e dell’aborto di Vienna. Per poter raggiungere l’utero, occorreva utilizzare oggetti abbastanza lunghi come ferri da calza, ganci appendiabiti, pompe per le biciclette, cateteri urinari, che venivano fatti roteare all’interno dell’utero per provocare il distacco della placenta o utilizzate per aspirare l’embrione. Queste procedure erano sempre a rischio, perché potevano causare la perforazione dell’utero e la morte per dissanguamento se non per gravi setticemie. Molte donne ricorrevano in solitudine al decotto di prezzemolo di cui mi raccontava mia madre, che in grande quantità agisce come un veleno. Quel veleno poteva procurare l’aborto o una terribile morte. C’erano poi altre donne che non volevano ricorrere a questi mezzi per motivi religiosi, per non fare peccato, allora andavano a faticare nei campi con il freddo, saltavano e si affaticavano nella speranza di provocare un aborto. Ma questa ultima soluzione aveva ben poco successo, dal momento che per secoli le donne hanno portato avanti e partorito in condizioni estreme, benché ancora oggi ci si definisca “sesso debole”.
Nell’autunno del 1957, venne fatta un’autopsia sul corpo di una ragazza di 17 anni trasportata in fin di vita in un Ospedale siciliano, in un disperato tentativo di salvarle la vita. Era morta durante il tragitto. Intorno al suo cadavere, i medici cercavano di capirne le cause. Unici indizi visibili due grossi cerotti applicati all’altezza dei reni, di quelli usati contro il mal di schiena, e i segni di una serie di ipodermoclisi sugli avambracci, in seguito a un lavaggio di sangue. L’autopsia rilevò che la giovane era incinta di tre mesi, ma soprattutto che era morta avvelenata, perché nel suo corpo furono trovate tracce di segale, un’erba che veniva usata per interrompere le gravidanze. Solo qualche tempo dopo il caso fu denunciato al tribunale. Le indagini cominciarono a far luce sulla vicenda: la ragazza era fidanzata con un cugino di qualche anno più grande; quando lui si accorse che aspettava un bambino, consultò una mammana che, per pochi soldi, gli fornì un mazzetto di erbe secche. La giovane donna, seguendo il consiglio del fidanzato, iniziò ad applicare le erbe e a bere la miscela, tutti i giorni, ma dopo un po’ iniziò a sentirsi male, a vomitare e ad avvertire dolori atroci alla pancia e ai reni. I genitori, ignari di tutto, dopo aver provato una cura casalinga con dei cerotti, si accorsero che i dolori della figlia peggioravano e chiamarono il medico di famiglia. Questi, pensando a una forma di avvelenamento, ma ignorando che la giovane continuava a bere il decotto, ha effettuato il lavaggio del sangue. La decisione di ricoverarla in ospedale è arrivata quando ormai era troppo tardi.
Nel 1967 una ragazza di 17 anni di nome Gigliola Pierobon arrivò a Padova dopo quattro ore di treno. Aveva in tasca ha quarantamila lire, i soldi per la mammana che l’avrebbe aiutata ad abortire. Sdraiata su un tavolo di cucina, un lungo ago di ferro le venne introdotto nella vagina. L’operazione, molto dolorosa ed eseguita in condizioni igieniche precarie, le provocò un’infezione che curò ricorrendo al suo medico di famiglia. Attraverso il lavoro in fabbrica, nel 1972 Gigliola entrò a far parte del gruppo di Lotta Femminista, rendendosi conto di come la sua storia era la storia di tante donne. L’aborto clandestino era l’unica strada percorribile per la maggior parte delle donne, l’eccezione era rappresentata dalle donne benestanti che potevano permettersi di ricorrere alle cliniche private, abusive o all’estero: d’altronde, il riconoscimento di un diritto passa sempre per il portafogli, non è una questione di coscienza. I processi per chi praticava aborto clandestino non erano molti, e riguardavano ovviamente le donne più povere ed emarginate. Erano processi pubblici, perché le donne colpevoli di aver attentato la sanità della stirpe fossero esposte al pubblico ludibrio – pensate sempre ai processi per stregoneria.
Nel 1972, Gigliola ricevette una notifica di rinvio a giudizio dal Tribunale di Padova per aborto procurato, perché già nel 1968 era stata ascoltata come testimone in un altro caso di aborto e confessò di avere lei stessa abortito.
Seguirono delle perizie ginecologiche, avete presente le ispezioni che si facevano alle streghe per trovare il marchio del Diavolo? Non erano così lontane, non lo sono ora, badate bene.
La difesa di Gigliola fu organizzata dal movimento femminista, perché questo processo venisse utilizzato per combattere una legge ingiusta.
Al processo furono portati dati, ricerche, testimoni provenienti dal mondo della medicina, della cultura, della politica, del giornalismo, dell’università. I gruppi femministi entrarono in Tribunale, le donne si autodenunciarono collettivamente dichiarando di avere abortito. Fuori, i cortei, gli scontri con i gruppi fascisti. Gigliola fu condannata ad un anno di reclusione, ma assolta perché in quegli anni aveva avuto una figlia, ed il buon Giudice aveva visto questo come un pentimento ed una redenzione per avere abortito in precedenza, Gigliola dichiarò di non avere mai dichiarato pentimento, né chiesto perdono.
Negli anni ’70 l’autocoscienza si fa strada
Il velo dell’omertà sull’aborto era comunque caduto. Non si poteva tornare indietro ignorando la realtà.
Già dalla metà degli anni ’60, il giornale Noi Donne (organo ufficiale dell’UDI) iniziò a pubblicare testimonianze legate alla vita quotidiana dell’aborto: uno shock culturale per la società italiana.
Fino al 1971, la pillola anticoncezionale era illegale in Italia. Certamente, perché il sesso era una pratica utile solo ai fini riproduttivi della stirpe.
Le donne iniziarono ad adottare un linguaggio più consapevole, anche se la sofferenza era la stessa che portavano dentro da sempre: nacque una nuova narrazione dell’aborto. Alcune donne entrarono in contatto con gruppi femministi e radicali che autogestivano alcune cliniche clandestine. La condizione di degrado legata all’aborto era sotto gli occhi di tutti e non poteva più essere ignorata soprattutto dalla politica.
Le testimonianze delle donne che avevano abortito furono dirimenti anche per portare alla luce il tema della sessualità vissuta fino ad allora tra stereotipi, tabù e innumerevoli precetti di matrice cristiana che la rendevano argomento non discutibile. Le donne abortivano, ma la parola “aborto” non era utilizzata nello spazio pubblico, né in nessun altro. L’aborto era invisibile, e come lo erano le donne in fondo. Corpi invisibili non possono autodeterminarsi.
“Quando non avevo la sonda, prendevo erbe, bevevo litri di vino rosso e saltavo da un tavolo all’altro… Mi avevano detto che questo era il modo per abortire”.
“Ho avuto 37 aborti nella mia vita. Forse per altri sarà disumano, ma io non ho potuto tenere in vita più dei due figli che ho e ho sempre fatto tutto da sola….”.
Nonostante in Italia le donne avessero diritto di voto dal 1945 e l’accesso al mondo del lavoro, il modello familiare fortemente patriarcale era restato immutato. La maternità come principale realizzazione di sé non poteva essere messa in discussione. L’ignoranza era diffusa e i servizi sociali e di assistenza al parto inesistenti.
Nel 1975 Emma Bonino si autodenunciò per procurato aborto proprio per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla pericolosità degli aborti clandestini
Il 18 febbraio 1975, una sentenza della Corte Costituzionale stabilì la prevalenza dei diritti della donna su quelli del nascituro: questo creò il primo spiraglio di legittimità per l’iter legislativo che avrebbe portato alla Legge 194. Sempre nello stesso anno, il 25 aprile, il Parlamento approvò l’istituzione di consultori familiari, che avevano tra i loro obiettivi la diffusione della contraccezione.
Il 21 gennaio del 1977 la Camera, con 310 voti a favore e 296 contrari, approvò il progetto di legge “Norme sull’interruzione di gravidanza”, frutto di discussioni durate mesi e di una sintesi tra le proposte dei vari partiti.
Il percorso di approvazione è stato segnato da posizioni contrastanti, proposte di modifica, tentativi di conciliazione con le posizioni della Chiesa.
Il 21 MAGGIO DEL 1978 LA LEGGE 194/78: NORME PER LA TUTELA SOCIALE DELLA MATERNITÀ E PER L’INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA venne approvata il in Senato con 160 voti a favore e 148 contrari.
Hanno subito provato a boicottarla: il 17 maggio 1981 gruppi politici e movimenti religiosi hanno proposto 5 referendum per abrogare la legge: ma gli italiani e le italiane hanno votato per la conferma della legge, grazie alla massiccia organizzazione di banchetti e centri di ascolto in cui si spiegava perché a quel punto era giusto respingere quei referendum che attaccavano una legge molto importante, perché tornare indietro sarebbe stato rischioso. Si faceva informazione, si coltivava consapevolezza, grazie al movimento femminista, non dimentichiamolo.
E I MOVIMENTI PRO LIFE?
Ma facciamo una passeggiata anche nella loro storia più recente, attraverso un excursus che riguarda solo in parte il loro operato. Potrete a breve deliziarvi con l’ascolto di letture interessanti sulle maggiori organizzazioni internazionali.
Nel 1975 nacque il primo Centro di Aiuto alla Vita: si ispirava alle parole di Papa Paolo VI pronunciate nell’enciclica “humanae vitae” del 1968.
“…è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l’aborto diretto, anche se procurato per ragioni terapeutiche. È parimenti da condannare, come il magistero della Chiesa ha più volte dichiarato, la sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, tanto dell’uomo che della donna. È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione. »
Il Movimento per la Vita nacque nel 1980 con l’obiettivo di promuovere e difendere il diritto alla vita e la dignità di ogni persona, dal concepimento alla morte naturale, favorendo una cultura dell’accoglienza verso i più deboli e indifesi e, in primo luogo, il bambino concepito e non ancora nato. Madre Teresa è stata Presidente onorario, quindi quando la quotate come simbolo di pace ed amore, ricordatevi che ha detto
“Ogni Paese che accetta l’aborto non insegna al suo popolo ad amare, ma a usare qualsiasi violenza per ottenere ciò che vuole”.
Nel 1995 Papa Giovanni Paolo II, nell’Enciclica Evangelum Vitae sostiene che
“Nessuno può autorizzare l’uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione”
Papa Giovanni Paolo II definisce le leggi che permettono l’aborto “prive di validità giuridica”
Nel 1991 ad opera del Movimento ecclesiale dell’Armata Bianca, nel cimitero dell’Aquila viene eretto un monumento ai “bambini mai nati”, con il consenso del sindaco e l’appoggio dell’arcivescovo. È il primo segno di un’escalation antiabortista che si diffonde negli anni.
Nel 1997 in Piemonte, l’Assessore regionale alla Sanità autorizza un’associazione antiabortista di Novara a organizzare ogni mese un macabro “funerale del feto”.
Nel 1999 a Roma, due sacerdoti entrano con la forza nell’Ospedale San Camillo per bloccare l’intervento urgente per l’aborto di una ragazza di 13 anni, regolarmente ricoverata con l’autorizzazione del Giudice Tutelare. È stato necessario allontanarli con la forza.
Nel 2000 a Bolzano, un’insegnante di religione porta in classe dei feti di plastica e, alla presenza di un’organizzazione antiabortista, costringe le studentesse a giurare sulla loro castità presente e futura.
Nel settembre del 2011, i volontari dell’associazione Pro Vita “Ora et Labora. In difesa della vita” organizzano un sit-in di preghiera davanti all’Ospedale Sant’Anna di Torino contro la pillola abortiva.
“Ru486, la pillola di Erode. Un genocidio legalizzato”.
Nel settembre 2012, presso il Cimitero di Desio, si tiene la benedizione e sepoltura dei feti, organizzata sempre da “Ora et labora. In difesa della vita”. La foto della cerimonia è pubblicata su facebook.
Nel Maggio 2010, presso il cimitero del comune di Cremona, si celebrano i funerali di 26 feti. Si sono recitate alcune preghiere:
“Il diavolo, assassino fin dall’inizio, costantemente attento alla vita dell’uomo e dell’umanità. Accetta, dunque, o Maria, la nostra consacrazione perché con te possiamo operare efficacemente nella promozione e nella difesa della vita”.
Nel 2012 si tiene a Roma la Marcia per la vita, con il patrocinio del Comune (Sindaco: Gianni Alemanno): aderiscono Forza Nuova, Christi Militia, Scienza e Vita, i Legionari di Cristo, Opus Dei, e i partiti della destra radicale.
Nel 2018 si forma il Governo guidato da Lega e Movimento cinque stelle, il cui Ministro alla Famiglia ed alla Disabilità è Lorenzo Fontana, ovvero l’attuale Presidente della Camera che si distingue per dichiarazioni contro l’aborto, contro la comunità LGBTQ+ e la sua vicinanza a Alba Dorata, associazione neo-nazista greca sciolta per essere stata riconosciuta dalla corte d’appello di Atene come organizzazione a delinquere, responsabile di omicidio, di tentato omicidio e di vari attacchi contro migranti ed esponenti della sinistra greca.
Il 4 ottobre 2018 a Verona il consiglio comunale delibera una serie di provvedimenti antiabortisti e di “sostegno alla vita” sulla base della mozione di Alberto Zelger (Lega), sostenendo economicamente le associazioni cattoliche antiabortiste, favorendo il parto in anonimato – con conseguente adozione immediata – e proclamando Verona “Città a sostegno della vita”.
“L’aborto non è un diritto, è un crimine abominevole. Tra i due diritti della donna e del nascituro, deve prevalere il secondo. Una volta concepito, deve nascere. Chi abortisce non sa cosa fa. Se fosse per me, la legge 194 non dovrebbe esistere, in linea con la posizione del ministro Fontana” -Alberto Zelger
Nel 2019 sempre a Verona, si tiene il World Family Congress nel corso del quale, tra libri e film su donne sopravvissute a tentativi di aborto, spunta un feto di gomma antiabortista, donato da uno degli sponsor, Notizie Pro Vita: è un embrione di dieci settimane accompagnato da un cartoncino con la scritta “l’aborto ferma il cuore che batte”.
Un pò di Storia del World Congress of Families
L’idea è nata dall’incontro tra Alan Carlson (storico, ex funzionario dell’amministrazione Reagan e presidente del Center for the Family, Religion, Society, un gruppo conservatore che si oppone ad aborto, divorzio e omosessualità) e il sociologo e demografo Anatoli Antonov. Nel 1995 Antonov invitò Carlson a Mosca e insieme ebbero l’idea di fondare una ONG basata sull’idea comune di famiglia. L’idea da cui partirono era che la colpa dell’imminente crollo demografico che temevano fosse da attribuire al movimento femminista e alla liberazione sessuale. La famiglia naturale deve essere composta da uomo e donna uniti in matrimonio. Chiese e partiti entrarono in gioco più tardi, avviando un’azione coordinata con le istituzioni politiche contro i presunti nemici di una società “moralmente fondata”: divorzio, omosessualità, donne. Negli stessi anni l’ONU aveva organizzato conferenze sui diritti delle donne (Cairo 1994, Pechino 1995): per i gruppi di destra statunitensi costituivano un allarme. In Russia sono gli anni del caos post-sovietico, del forte calo demografico e della rinascita del pensiero cristiano ortodosso e dei valori tradizionali.
1997: primo Congresso mondiale delle famiglie (Praga)
1999 Ginevra
2004 Città del Messico
2007 Varsavia
2009 Amsterdam
2012 Madrid
Dal 2012 sono diventate annuali.
Alleanza con reti e organizzazioni locali che hanno un’influenza sui governi dei vari Paesi.
La WCF ha sostenuto la legge russa contro la propaganda gay (2013) poi condannata dal Consiglio d’Europa, dalle Nazioni Unite e da altri gruppi per i diritti umani. Inoltre, ha sostenuto la legge russa contro le adozioni per le coppie dello stesso sesso. Gruppi vicini alla WCF: cattolici (Polonia, Francia, Spagna, Sud America, Africa, Italia); cristiani ortodossi (Russia, Bielorussia, Ucraina, Georgia, Romania, Moldavia); protestanti, evangelici e mormoni USA.
La WCF ha anche finanziato studi (poi screditati) su: correlazione tra famiglie omogenitoriali e peggioramento della crescita di bambini e bambine; legame tra unioni tra persone dello stesso sesso e aumento della pedofilia; diffusione della falsa “teoria del gender” (che nasconde un attacco agli studi femministi); associazione tra aborto e problemi di salute e cancro al seno.
In tutti questi anni, e in tutte queste occasioni, il movimento femminista non ha mai abbandonato la pratica della resistenza all’oppressione, non ha mai smesso di far sentire la propria voce. Lo ha fatto una politica che ha scelto ancora il compromesso con la Chiesa e con quella destra radicale e conservatrice a cui ha lasciato campo di azione, non vigilando sull’applicazione dell’articolo 9 della legge 194, non garantendo l’applicazione delle linee guida per l’assunzione della pillola abortiva RU486, lasciando fuori dai palazzi le voci ed i corpi delle donne che rivendicavano il proprio diritto ad autodeterminarsi. Lo hanno fatto uomini e donne che non provano imbarazzo nel definirsi “di sinistra” mentre con arroganza e supponenza ci dicono che dobbiamo accontentarci. Di cosa? Di vivere in un Paese in cui risorse le risorse economiche che sono anche di nostra proprietà vengono utilizzate per foraggiare movimenti pro-vita che si piazzano nei consultori e negli ospedale per impedire alle donne di abortire? O di pagare le tasse per non avere una adeguata assistenza sanitaria che prevede l’accesso indiscutibile al diritto all’interruzione di gravidanza? Ah, ci sono: dobbiamo accontentarci di avere accesso alla contraccezione, il fatto che si a pagamento è un dettaglio. Hanno lasciato la porta socchiusa, e tutta la truppa “pro-life quando fa comodo”, nostalgica del fascismo, contraria al solo nominare la comunità lgbtq+, amica delle nazioni che negano i diritti umani a partire da quelli sessuali e riproduttivi, ha dovuto solo fare un passo in avanti per spalancarla e sedersi sulle poltrone delle massime cariche dello Stato. Hanno lasciato loro, Comuni e Regioni, non era prevedibile?
Come prima della legge 194/78, le donne che non possono accedere all’aborto legale per tutti i motivi elencati devono praticare l’aborto clandestino.
E’ a questo punto che ritono all’articolo 9 della legge, che parla di “diritto all’obiezione”, quella norma transitoria che aveva senso in un epoca di transizione in cui nelle strutture sanitarie operavano medici e personali che fino a poco prima era sottoposti al Codice Rocco. Ad occhio e croce, dopo 44 anni dall’approvazione della legge, quelle persone dovrebbero essere in pensione se non passate a miglior vita. Oggi l’art.9 non è altro che il diritto a boicottare i corpi delle donne riempiendo gli ospedali e i consultori di obiettori, quando invece dovremmo parlare di diritto alla salute libera e garantita, indipendentemente dall’età, dall’etnia e senza una classificazione binaria di genere M-F. Dovremmo parlare di consultori come luoghi dove le scelte sul nostro corpo non sono filtrate da associazioni cristiane o pro-life, dove l’aborto non è inserito in un percorso psicologico e motivazionale, dove la sessualità e il piacere femminile non siano un tabù. Dovremmo parlare di accesso libero e gratuito alla contraccezione, dando per scontato che in uno Stato Laico non sia neanche contemplata la possibilità di mettere bocca sulle scelte altrui in nome di Dio, come fosse autorità suprema al di sopra della nostra individualità.
La coscienza che viene prima è la nostra, insieme alla nostra vita, e nessuno deve sentire il diritto ancora oggi di parlare dei nostri corpi come se fosse ancora un tema legato alla pubblica morale, alla difesa della stirpe.
Date un’occhiata al mio racconto sulla vita di Gloria Steinem, per conoscere un altro pezzetto di storia che riguarda tutte noi a prescindere da quale epoca di oppressione patriarcale abbiamo vissuto. Dare voce alle nostre esperienze, continuare a lottare insieme per avere un aborto libero e sicuro, è l’unica strada da percorrere, perché nessuna sia sola, perché nessuna donna debba rischiare di morire per mano dello Stato. Oggi, nel 2022, siamo ancora qui a lottare, ad alzare la voce, perché l’esitenza di una legge non garantisce il diritto. I nostri ospedali sono pieni di obiettori, e questo rende attuale il ricorso all’aborto clandestino. Colpevoli sono i Governi regionali che hanno lasciato campo libero, non hanno vigilato, hanno scelto il compromesso sui nostri corpi.
Avere i dati sulle attività legate alla legge 194 è un percorso ad ostacoli, come spiegano bene Chiara Lalli e Sonia Montegiove in Mai dati. Dati aperti (sulla 194). Perché sono nostri e perché ci servono per scegliere. E’ un nostro diritto sapere, lo è poter scegliere, lo è pretendere l’applicazione della legge, lo è protestare. Perché lo Stato siamo noi, è con le tasse che paghiamo noi che i servizi sanitari funzionano, è per noi che lavorano medici, personale sanitario, governanti.
Ci sono molti modi per ridurre o eliminare un diritto. Si può cambiare la legge o, in modo più discreto e indiretto, trovare un modo per rendere la sua applicazione sempre più incerta.
Ecco. La storia è questa. E alle giovani donne voglio suggerire di diffidare di chiunque inizi un ragionamento sull’aborto con frasi tipo “io sono favorevole all’aborto, tranne quando ci sono le condizioni economiche per avere un figlio/a meno che non venga usato come metodo anticoncezionale/quando la gravidanza è frutto di una violenza….ecc”: è la versione patriarcale dell’espressione “Io non sono razzista ma…”. E diffidate di chi, parlando di aborto, inserisce parole come “omicidio, infanticidio, atto criminale”.
Il modo corretto per parlare di aborto è quello di parlarne in termini di diritto alla salute, all’autodeterminazione, alla libertà di scelta, al self-care. Non ci sono altre opinioni, trattandosi di una prestazione essenziale che pubblico servizio deve garantire. Certamente si può scegliere di non abortire, la legge non costringe ad abortire, così come una legge sul suicidio assistito non costringe a ricorrervi, ma al popolo pro-life piace tanto considerare la vita importante solo quando lo dicono loro, e solo per una fetta di popolazione possibilmente di sesso maschile, bianca, eterosessuale.
Giorgia Meloni, durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 2022, ha dichiarato di non voler eliminare la Legge 194, ed ha negato che in Italia esistano problemi legati all’accesso all’aborto. Negando un fatto, ovvero che la presenza di oltre il 70% di obiettori in Italia rende l’aborto di fatto inaccessibile. E negando anche le storie delle donne che continuano a testimoniare attraverso la rete femminista i propri vissuti. Meloni, vicina alle organizzazioni internazionali ultra conservatrici, le elezioni le ha vinte.
E le sue parole sono state prontamente smentite da Maurizio Gasparri, Senatore di Fratelli d’Italia, con la presentazione di un disegno di legge in materia di aborto, che prevede il riconoscimento della capacità giuridica del concepito.
C’era una volta chi ci voleva oppresse, e c’è ancora. Ma noi siamo prima di tutto le streghe sopravvissute, nel cerchio della sorellanza che non riusciranno a violare.
2 commenti su “C’ERA UNA VOLTA L’ABORTO NEGATO, E C’È ANCORA”
Grazie
Condivido ogni parola e continuerò a lottare per me per me per mia figlia mia nipote e tutte le donne
Grazie Daniela, la tua lotta rafforza la mia ♀️