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INDOVINELLO: SE NON LE NOMINI, NON ESISTONO. CHI SONO?

Tempo di lettura: 7 minuti

Un paio di mesi fa, l’ennesima opinione non richiesta e soprattutto non competente sulla questione genere e linguaggio: sottolineando l’inutilità di certe “battaglie femministe”, una persona di mia conoscenza e tutt’altro che priva di spessore culturale, mi faceva notare con una certa enfasi che non utilizzerà mai il femminile per la sua professione e che, essendo una insegnante, non avrebbe mai trasmesso questa sciocchezza ai suoi ed alle sue studenti. Perché l’uso del maschile – neutro è giustificato dal fatto che è la professione ad essere neutra. Peccato che ad oggi mi sembra proprio di non avere notizia dell’avvento del neutro nella nostra lingua e, e che le regole della grammatica siano piuttosto chiare, precise, elementari. Sulla questione delle “inutili battaglie femministe”, in alcuni casi smetto di replicare, per autodifesa. Siamo ancora qui a lottare perché le donne abbiano il giusto riconoscimento in ogni ambito, perché le minoranze non continuino a vivere nell’indifferenza, a partire da quella linguistica. Lo facciamo anche per chi considera inutili i nostri obiettivi.
Cerco di fornire dei riferimenti per poter approfondire, dotarsi di strumenti, per evitare di buttare lì opinioni prive di fondamento, e lo faccio con garbo quando sto dialogando con persone che considero mie amiche, sfruttando ciò che l’amicizia permette di mettere in campo: la semplicità, l’ironia, il linguaggio diretto.
Il problema è che alla mia generazione, ed a quella prima, per non parlare di quella ancora precedente, è stata trasmessa una applicazione delle regole grammaticali assolutamente scorretta, e carente dal punto di vista dell’apprezzamento della vitalità della lingua in riferimento alla comunità linguistica. Nozioni, solo nozioni, e pure errate. Ciò dimostra quanto la cultura patriarcale abbia scavato fin dentro il sistema in cui viviamo. Nessuna messa in discussione, neanche di fronte all’evidenza. Poi un bel giorno, nella mia ricerca di concreta messa in discussione di una consuetudine tossica e pericolosa, ho incrociato lo straordinario lavoro di Cecilia Robustelli. Ben prima di conoscerla di persona, ben prima che una comune amicizia mi permettesse di poter iniziare ad intrattenere conversazioni con lei che finalmente, con autorevolezza e garbo, risponde alle mie domande rendendo allo stesso tempo semplice ed affascinante il mondo della linguistica. Prima di essere una priorità della lotta femminista, il corretto uso della lingua e la contaminazione tra dinamiche sociali e linguaggio è una battaglia da linguista, e dovrebbe essere la pretesa di chiunque. Pensate se insegnassero ai vostri figli ed alle vostre figlie che possono utilizzare le “h” come vogliono, mettere e togliere la punteggiatura a piacimento, le doppie quando capita. Riconosco che la maggior parte delle persone che considerano futile la questione del linguaggio inclusivo, ha anche seri problemi con le basiche regole grammaticali, la comprensione e l’analisi di testi semplici.
Cecilia Robustelli ha elaborato le “Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo”, pubblicate nel 2012 all’interno del progetto “Genere e linguaggio” del Comitato Pari Opportunità della Regione Toscana. Qui trovate il testo completo.


 

 

La lingua è una cosa viva, che si modifica con il tempo e con le influenze che derivano dalla società

Questo concetto chiaro e semplice, che introduce le linee guida, non fa altro che sottolineare ciò di cui facciamo quotidianamente esperienza osservando il mondo intorno a noi, buttando un occhio alla storia, leggendo. E’ un fatto, non si tratta di una teoria che può essere messa in discussione. Un fatto è un fatto. Ma d’altronde, la storia e l’attualità ci offrono continuamente esempi di manipolazione più o meno grottesca di fatti inconfutabili: quella riguardante l’uso del linguaggio, è una delle più sconcertanti ed imbarazzanti manifestazioni di manipolazione, perché riguarda delle nozioni basiche di grammatica che ad oggi tutt* abbiamo a portata di mano.
Ciò che non nominiamo, non esiste, è tanto complicato? D’altronde, leggendo le linee guida, è possibile toccare con mano la ripetitività di certe critiche, i discorsi squalificanti verso l’adozione di un linguaggio di genere: lo hanno fatto e lo continuano a fare persone che rivestono ruoli, incarichi, professioni, per le quali l’uso corretto del linguaggio ed il possesso di un buon bagaglio culturale sono indispensabili. Continua a farlo chi ha la responsabilità di trasmettere conoscenza, sigh.
Quando vedo queste persone sostenere con tanta enfasi la propria ignoranza, sento i brividi attraversare tutto il mio corpo. Per non parlare di chi argomenta sostenendo che certe declinazioni al femminile “sono brutte e suonano male”, ma cosa c’entra? Ma non stiamo mica parlando dell’orecchiabilità di una canzone, parliamo di lingua italiana, di uso delle regole grammaticali. A volte dopo i brividi subentrano le imprecazioni, più o meno manifeste.
Senatori, Senatrici, Deputati e Deputate della Repubblica, politic* locali, servitori e servitrici di bottega del patriarcato, che a suon di grottesche battute nutrono quella che sembra una inarrestabile avanzata delle truppe di analfabet* funzionali armat* fino ai denti, a suon di dissertazioni sull’inesistente “maschile – neutro”. I loro cannoni sono pronti a sparare su chiunque faccia notare l’imbarazzo nel dover spiegare ciò che non può essere campo di battaglia, ovvero la grammatica, sigh.
Se a me vengono i brividi, non oso immaginare cosa provino linguiste e linguisti che assistono allo scempio di secoli di studi e ricerche in continua evoluzione, che costituiscono uno dei più grandi patrimoni esistenti.
A loro, ad Alma Sabatini, a chiunque stia lottando per fermare questa orribile emorragia, è andato il mio pensiero ieri, quando ho appreso la notizia della bocciatura in Senato dell’emendamento che chiedeva l’inserimento del linguaggio inclusivo nel Regolamento.
Cecilia Robustelli, a seguito di questo surreale evento, ha reagito pubblicamente con un post “un’offesa alle donne, alla società, alla ragione. Chi ha votato dovrebbe spiegarci perché lo ha fatto. Perchè ha ignorato la grammatica, la realtà, la storia delle donne, il cambiamento sociale, il dovere di comunicare chiaramente senza ambiguità. Perché non sa che il #Miur ha adottato le Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio istituzionale, e così comuni, province e regioni; che la #CRUI ha un Gruppo di lavoro sul linguaggio di genere; e che l’uso di un linguaggio non discriminante è richiesto dal #GEP Gender Equality Plan, E, evidentemente, ignora tante altre cose”. Chiara e diretta, come sempre.
Siamo nelle mani di queste persone, che pur rivestendo delle precise responsabilità, rispondono anche al comando di dover ristabilire l’ordine naturale.. Adottano ogni ignobile iniziativa, allo scopo di chiudere nelle segrete tutto ciò che può mettere in pericolo quell’ordine. Alcun* fungono da uitili idiot*, per fornire un messaggio a chiare lettere “non è una vostra impressione, vogliamo rendervi invisibili. Ora è più chiaro?”. C’è chi ha parlato di “misoginia occulta”, a me sembra che non possa essere più evidente di così.
E’ necessario continuare a seminare cultura e curiosità, ricordando quelle che sono semplici e banali regole grammaticali, per poter rendere sempre più evidente quanto sia inadeguata certa classe politica gretta ed ancorata ad ideologie che puntano soltanto alla riduzione in barbarie delle relazioni umane. E lo fanno in nome di ragioni di potere, per servilismo, facendo scempio dei nostri diritti e del futuro delle nuove generazioni, per meri interessi di bottega.
Osservando le nuove generazioni, cresciute in famiglie distanti dal modello patriarcale, noto che il linguaggio di genere viene utilizzato con una naturalezza che a volte mi lascia felicemente colpita. Questo, nelle relazioni tra pari, di certo contribuisce ad influenzare anche il pensiero di ragazz* cresciut* a pane a misoginia, tra le quattro mura del patriarcato dove “blu è maschio – rosa è femmina, mamma cucina e papà guarda la tv” ognuno nel suo ordinatissimo sistema di ruoli.
Il linguaggio che non include tutt* è discriminatorio, non c’è un granchè da obiettare a questo fatto, mi si arrovella il cervello a cercare un solo motivo per cui sia legittima la messa in discussione di un principio tanto scontato.
Se non nomino Carla, se nessun* nomina Carla, Carla non esiste: chi dovrebbe interessarsi di Carla, se non è menzionata in politica, al lavoro, in una assemblea, in classe, in una competizione sportiva, in Tribunale? Ah già, che sbadata; basta nominare Luca! Quando nominiamo Luca, è implicito che stiamo nominando anche Carla, soprattutto perché abbiamo convinto tutt*, attraverso i secoli, che Carla è orgogliosa di essere chiamata Luca. Anche se, dal momento che nessuno la nomina, nella sua invisibilità ed esistenza soltanto in ragione di Luca, subisce ogni forma di discriminazione, abuso, molestia, fino a morire. E magari, dopo la sua morte, si parlerà di Luca e dei motivi che l’hanno spinto ad ucciderla, piuttosto che di lei, che tanto non esisteva neanche prima.
Carla in tutta la sua vita è stata anche curata come se fosse Luca, che sarà mai…
Bene, vi siete fatt* un gran bel film in quell’aula del Senato, con la bava alla bocca e la soddisfazione per aver mostrato quanto questo Paese sia pericolosamente arretrato.
Va bene, adesso però date un’occhiata fuori: noi siamo qui, siamo tante, siamo ovunque, come sempre. Siamo sempre quelle streghe che continuate a bruciare, sopra quei moderni roghi chiamati luoghi di lavoro, case, spazi pubblici, istituzioni, servizi. La storia vi ha insegnato che le ceneri di quei roghi alimentano le nostre radici, forti ed indissolubili. Ricordate, noi pratichiamo il movimento perenne per i diritti universali, voi il parassitismo in cambio di una ciotola di riso.

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