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L’Incanto di Lucio Corsi: Tra Sogno e Realtà
9 Gennaio 2025
A fare porcherie sono capaci tutti, la musica è un’altra cosa
Ecco, la tocco piano piano così mi sbrigo sulla questione di Capodanno e passo a quel che mi interessa, tanto non sono mica una critica. Mia nipote, come tante altre giovani anime, segue Tony Effe. Giorni fa mi ha mandato un articolo di Hoara Borselli che si scaldava sull’immancabile polemica Tony Effe-concerto romano di Capodanno. Nel mirino di Hoara Borselli, manco a dirlo, noi femministe. Per il dispiacere, sono stata a digiuno per un paio di minuti. Non ho bisogno di spiegare chi sia Hoara Borselli, almeno spero, a chi mi legge; e non ho neanche voglia di commentare ulteriormente ciò che scrive e che non ha avuto un grande risalto mediatico. È piuttosto imbarazzante nei contenuti, rivolti al suo pubblico, che vede nel femminismo tutto quello che non c’è e non c’è mai stato. Giusto Vittorio Feltri al suo pari.
La cosa che mi fa sorridere è che mia nipote non sa chi sia Hoara Borselli ma, nonostante questo, le dà ragione, inoltrandomi un articolo che certamente è girato in chat tra adolescenti – mi auguro siano solo adolescenti – ai quali l’opinionista si rivolge. Perché? Perché Hoara sa benissimo che il pubblico di Tony Effe non sono io. E questo basta.
Ma torniamo a noi. Mia nipote crescerà. E io spero che, con il tempo, indossi anche lei quelle lenti femministe che a me hanno cambiato la vita. Certo, in questa società talvolta sono scomode, ti fanno vedere tutto in modo più nitido, ma ti liberano. Ti fanno scegliere. Arrivare a chiamarti “feminist killjoy” è una medaglia che ti concedi quando capisci che disturbare l’ordine fa parte della lotta. E Hoara Borselli per inciso, dovrebbe ringraziare le femministe per il lusso di poter parlare come opinionista, in altre epoche non avrebbe potuto.
Io ho tentato di far capire, ma non sarò la zia delle lezioni di femminismo, per molte ragioni. Mia nipote probabilmente pensa che la zia femminista sia realmente quella di cui parla in maniera offensiva Hoara Borselli, soprattutto perché nel contesto familiare allargato è questa la rappresentazione a cui assiste: ‘sta noia del patriarcato, quella in cui vengo aggredita dal parente minchiaritore… avete presente, no? So che molte capiranno. Magari un giorno, crescendo, scoprirà che non erano solo parole, ma anche studio, mondi vissuti, storie, lotte e cambiamenti, conquiste, pubblicazioni, ingiustizie subite, legami stretti con le donne di questo mondo, per poter lasciare qualcosa dopo di me: la libertà. Lo scoprirà se vorrà, se qualcosa si muoverà dentro di lei, come è accaduto a me molto prima della sua età. Magari un giorno troverà qualcosa con su scritto il mio nome e scoprirà che non erano solo parole. Per ora, che sia libera di vivere tutte le sue contraddizioni. Io continuerò a battermi perché i Tony Effe in giro per il mondo non abbiano un palco, e manco un piano-bar. La censura è altra roba.
Ma parliamo di musica
E ora basta chiasso! Perché prima che Tony Effe e Hoara Borselli monopolizzassero le conversazioni, io avevo scoperto Lucio Corsi, e forse anche questo mi ha aiutato a tenere a bada la mia voglia di rispondere alle provocazioni.
L’ho incontrato per caso, guardando la terza stagione di Vita da Carlo, di e con Carlo Verdone. (Nota a margine: se non l’avete vista, correte a recuperarla. Carlo Verdone è una garanzia.) C’è questa scena: Carlo entra in un locale romano e, sul palco, c’è un giovane cantautore. Voce leggera, volto dipinto, movimenti che sembrano poesia. Lucio Corsi.
Mi ha incantata. Mi ha ricordato David Bowie nei giorni di Lindsay Kemp, per poi scoprire che di David Bowie aveva anche ben altro. Mi ha evocato Ivan Graziani, Alberto Camerini, Lucio Dalla, artisti che trasformavano la musica in storie da vivere. Ho sentito nostalgia. Ma anche sollievo: finalmente qualcuno che suona, canta e racconta. Un cantastorie di altri tempi che riesce a far comunicare tra loro diversi mondi.
Mi sono fermata, mi sono seduta, ho iniziato ad ascoltarlo. Ho spento tutto il frastuono. La musica di Lucio ti obbliga a tornare presente. Ogni parola sembra scelta tra le nuvole, ogni nota è un passo su una scala verso qualcosa di più grande.
Lucio sembra sceso da un pianeta lontano, come qualcun altro prima di lui. Ci ricorda che sognare non è una debolezza, ma una risorsa. Io ho sempre sognato e, forse per questo, mi sono spesso scontrata con chi non lo fa. Quando sogni da sol*, rischi di trovarti in una stanza buia chiamata disagio. Ma Lucio, con la sua musica, ti lascia la chiave per uscire.
Lucio Corsi non è solo un cantautore. È una cura.
In un mondo pieno di personaggi di cui non vale neanche la pena parlare, lui ci ricorda che l’arte è trasformazione. La musica è arte, e forse ce ne stiamo dimenticando proprio a causa dello spopolare di personaggi come il sopracitato. I sogni sono rivoluzionari e la noia non è una condizione da cui fuggire, ma una dimensione nella quale possono nascere cose preziose.
C’è un movimento punk nella foresta
Gli alberi con i capelli verdi sulla testa
E le galline con le creste vengono mal viste dalla guardia di finanza
Che non si accorge della gazza ladra e del crimine che avanza
Attraverso il suo album “Bestiario musicale” ci racconta la società, ma attraverso una realtà che conosce bene, ovvero quella del suo vicinato composto dagli animali e dalla vegetazione con cui ha convissuto nella sua Maremma. Cresciuto in un podere lontano dal centro abitato, la natura è sempre stata la sua ispirazione e il suo riferimento, così come i ricordi. Solo chi sa ancora sognare può fare tutto questo.
E poi c’è “Cosa faremo da grandi”. In un momento della mia vita in cui la depressione spesso si insinua tra i miei giorni, questa canzone è stata un abbraccio inaspettato. Mi ha ricordato che non sono sola a farmi questa domanda, dopo aver buttato al vento il lavoro di anni, e che non sapere non è una condanna. È parte del cammino. Raggiungere un traguardo non è la massima aspirazione, ma ricominciare e avere nuovi progetti, chiedersi cosa faremo da grandi, è qualcosa che può accadere anche in età adulta. Il problema è che viviamo immers* in una dimensione in cui si parla solo di risultati tangibili, ricchezze e, artisticamente, di premi e riconoscimenti. Di doversi rialzare immediatamente, senza sosta, ad ogni costo.
Lucio, con la sua voce delicata ma profonda, sembra voler dire che va bene sentirsi persi. Che va bene non avere un piano. E che c’è una bellezza nascosta anche nelle crepe, anche in quel buio che a volte sembra invadere tutto.
Ascoltando quella canzone, ho capito che crescere non significa avere tutte le risposte. Crescere è accettare che ci saranno sempre domande. E che possiamo continuare a cercare, magari con più calma, senza vergognarci di portare con noi i nostri sogni e le nostre paure.
In “Trieste” racconta di come la gente scoprì che il vento non era un freno ma una spinta utile per tenere le nuvole in viaggio, un’ispirazione ad andare avanti per chi si sente bloccato. Ci sono alcuni momenti, in alcuni brani – come appunto “Trieste” o “Freccia Bianca” – in cui a me sembra di avvertire la chitarra di Brian May. Lo dico così d’istinto, senza alcuna pretesa di competenza così approfondita, ma solo da appassionata fan dei Queen dalla tenera età di 12 anni.
Nell’estetica di Lucio Corsi leggo un messaggio di libertà: la libertà di essere sé stess*,
Non cerca di adattarsi, ma di creare un mondo in cui altr* possano entrare, un luogo dove la fantasia e l’introspezione possano coesistere.
Per questo, Lucio, grazie. Grazie per essere un compagno di viaggio, per trasformare l’incertezza in poesia, per ricordarmi che anche nei giorni più difficili possiamo ancora trovare un po’ di luce, se ci concediamo il tempo di ascoltare. Grazie per essere il mio antidoto alla banalità, per ricordarmi che le cose belle esistono ancora. Chi mi legge e mi conosce lo sa, che io sin da piccola ho avuto un amico immaginario di un certo livello, che è tornato su Marte, ma credo sia proprio tornato!
Grazie anche a Carlo Verdone, per avermi fatto scoprire Lucio attraverso Vita da Carlo.
Lucio Corsi parteciperà a Sanremo, per me ha già vinto. Sarà in gara con diverse persone che probabilmente, citando Enrico Ruggeri, non hanno mai neanche letto un libro in vita loro. Ma ci regalerà un momento di poesia.