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Narcisismo e attivismo: quando l’ego soffoca la comunità

Tempo di lettura: 5 minuti

Ho impiegato diversi anni per riuscire a riconoscere il comportamento narcisistico che ha attraversato e influenzato la mia vita sotto tanti aspetti: nelle relazioni individuali, in quelle lavorative, nelle amicizie e nell’attivismo. Poco tempo fa ho scritto che sono ancora qui, nonostante tutto. E già poterlo dire, poter guardare indietro e fare un’analisi, è quasi un privilegio: significa che oggi ho gli strumenti per proteggermi, per osservare da fuori ciò che accade. Riconosco che chiunque può cadere in dinamiche narcisistiche — nessuno ne è immune — ma la scelta è sempre dietro l’angolo: decidere se alimentarle, o se interromperle.

Il narcisismo non è un difetto di carattere, né un’etichetta alla moda. È una dinamica di potere. E come ogni dinamica di potere, si infiltra ovunque: nelle relazioni, nelle istituzioni, nei movimenti. Quando penetra nell’attivismo, il rischio è chiaro: la spinta alla trasformazione si piega al desiderio di riconoscimento personale. La lotta diventa palcoscenico, la politica si riduce a spettacolo. Pubblico e applausi, ma poco cambiamento.

In psicologia sociale è stato formulato il dark-ego-vehicle principle (Krispenz & Bertrams, 2019–2021): l’ipotesi che persone con tratti narcisistici possano avvicinarsi a cause progressiste più per alimentare l’ego che per convinzione autentica. È una teoria preliminare, che sto approfondendo e che considero utile solo come lente critica, non come descrizione definitiva. Non dice che i movimenti siano narcisisti, ma ci ricorda che, proprio perché giusti e visibili, possono essere colonizzati da chi cerca soltanto un palcoscenico personale.

Certamente risuona nella mia lunga esperienza di attivismo. Riunioni dove la parola gira sempre nelle stesse mani. Interventi ignorati finché non vengono ripetuti dalla persona giusta — e allora diventano improvvisamente brillanti. Mailing list infinite in cui alcune proposte spariscono senza risposta. Piazze dove il megafono diventa prolungamento dell’ego di chi non lo molla mai. Non è disorganizzazione: è uso politico dello spazio e della parola.

E non basta. Questi meccanismi arrivano fino a togliere visibilità e parola proprio a chi porta competenze, esperienza, memoria dei territori. Un vero paradosso: invece di valorizzare chi sa e chi costruisce, il narcisismo preferisce soffocare queste voci perché troppo scomode, troppo libere, troppo resistenti alla messa in scena. È una dinamica tossica che non nasce dal conflitto politico, ma dal bisogno di controllo.

Le conseguenze sono gravi e concrete. Attivistə che lasciano non perché hanno smesso di credere nella causa, ma perché logoratə da un ambiente che consuma. Progetti sabotati. Comunità frammentate. E intanto la politica istituzionale ringrazia: prende linguaggi e volti dai movimenti, li ricicla in vetrina e scarta chi li ha prodotti. È vetrinismo politico: l’immagine cresce, la sostanza scompare.

“A movement is only people moving.” (Gloria Steinem)

Gloria Steinem lo ha ricordato con semplicità disarmante: un movimento è fatto di persone che si muovono. Palchi, loghi, sigle, comunicati: tutto questo ha senso solo se dietro c’è la forza reale delle persone che si mettono in cammino, insieme. Quando il narcisismo prende il sopravvento, invece, ciò che si muove non è più il movimento, ma solo l’ego di pochi. E un movimento che non si muove più, che resta bloccato nello specchio della propria immagine, smette di essere tale.

“When you expose a problem, you pose a problem. It might then be assumed that the problem would go away if you would just stop talking about it.” (Sara Ahmed, Living a Feminist Life)

Sara Ahmed ci ha insegnato che la feminist killjoy — la guastafeste che osa nominare le ingiustizie anche quando disturbano l’armonia apparente — è spesso la prima a essere esclusa. Non perché abbia torto, ma perché interrompe lo spettacolo, mette in crisi la narrazione e smonta il copione di chi occupa la scena. In un contesto segnato dal narcisismo, la killjoy diventa una minaccia: non lascia che l’ego resti indisturbato al centro.

“Without community there is no liberation, only the most vulnerable and temporary armistice between an individual and her oppression.” (Audre Lorde, A Burst of Light)

Audre Lorde ci ha ricordato che non c’è liberazione senza comunità. Senza relazioni reali, senza la costruzione di spazi condivisi, ciò che resta è solo una tregua fragile tra l’individuo e la sua oppressione. Il narcisismo nei movimenti agisce proprio qui: sgretola i legami, frammenta, isola. Dove manca comunità, non c’è forza collettiva, e la trasformazione si ferma sulla soglia.

“The moment we choose to love, we begin to move towards freedom, to act in ways that liberate ourselves and others.” (bell hooks, All About Love)

E bell hooks ci ha insegnato che l’amore è pratica di libertà: un amore politico, collettivo, che si oppone al dominio e alla manipolazione. Nei movimenti narcisistici, invece, la parola “amore” viene piegata a strumento di controllo: si invoca l’unità per soffocare il dissenso, si richiama la sorellanza per coprire le ingiustizie. hooks ci ricorda che senza giustizia, quell’amore non è libertà, ma complicità con l’oppressione.

Queste voci — Ahmed, Lorde, hooks — sono bussole. Ci dicono che il narcisismo travestito da militanza non è solo fastidioso: è distruttivo. Perché soffoca le voci scomode, svuota la pratica della cura, manipola i linguaggi dell’amore. È qui che i movimenti si giocano la propria possibilità di resistere o di marcire dall’interno.

Il femminismo ci insegna che la cura non è un orpello, ma infrastruttura politica. Rotazione dei ruoli, trasparenza, accountability, spazi di parola condivisi non sono dettagli organizzativi: sono dispositivi di resistenza. La cura collettiva non è una gentile concessione: è ciò che impedisce ai movimenti di marcire dall’interno.

Un attivismo che diventa passerella non produce trasformazione, ma consumo. Non costruisce comunità, ma collezioni di ego. E lo spettacolo, da solo, non cambia nulla.

Per questo abbiamo bisogno di fare pulizie. Liberare spazio dal narcisismo che soffoca, smascherare chi usa i movimenti come trampolino. Abbiamo bisogno di cerchi veri e sinceri, dove tutte siamo visibili e il coraggio di parlare non si misura a colpi di competizione, ma di fiducia. Perché i sistemi di potere funzionano così: oggi ti concedono il centro, domani ti cancellano. Ti tengono in scena finché servi al copione. Poi cala il sipario, e resti fuori anche tu.

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