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NESSUNO ENTRA, NESSUNO ESCE. IL RECINTO DELL’IGNORANZA

Tempo di lettura: 9 minuti

Non c’è peggior ignorante di chi nella propria ignoranza trova rifugio sicuro. L’ignoranza è un recinto, una protezione, fatta di certezze impermeabili alla messa in discussione, al processo di apprendimento ed evoluzione: ci si ferma e si guarda il mondo esclusivamente attraverso il recinto.

Nessuno entra, nessuno esce.

Le dinamiche sociali mutano con il mutare dei tempi, delle tecnologie, della conoscenza, e quindi ogni epoca ha il suo mezzo di diffusione di ignoranza, le sue strategie, i suoi linguaggi, e questo è necessario tenerlo a mente, quando sentiamo dire che “mai come ora” oppure “ai miei tempi non succedeva”, quando si parla di analfabetismo funzionale ed ignoranza. L’ignoranza ed il suo diffondersi come un cancro, erigersi a propaganda, ha storicamente prodotto i peggiori mostri della storia dell’umanità, provocando vittime e barbarie. Ho avuto la fortuna di poter analizzare l’utilizzo delle comunicazioni di massa durante il regime fascista, i discorsi di Mussolini, grazie alle lezioni universitarie di Simona Colarizi, Docente di Storia Contemporanea all’Università La Sapienza. Per avere un’idea, vi suggerisco di leggere il suo libro “L’opinione degli italiani sotto il regime 1929-1943” .

Il popolo che si nutre delle fake news, del linguaggio d’odio, del sensazionalismo vuoto e mediocre, è quello che non si sofferma troppo sui dettagli, neanche di fronte alla grottesca disinformazione. Non vi è mai capitato di far notare a qualcuno che quella che sta citando – o condividendo sui social – è una notizia palesemente falsa, priva di fondamento e di sentirvi rispondere “magari si, ma io per sicurezza la condivido. Non si sa mai”. Ecco, il caos nasce così.
A me ricorda la dinamica di quello che una mia cara zia – la mia scuola sarcasmo come ponte verso la libertà – chiamava “il comitato di quartiere”, ovvero alcune persone, in un determinato contesto di vicinato, che si occupavano di informare tutte/i in merito ad accadimenti che, con grande attenzione ed impareggiabili doti di mimetismo, seguivano dal balcone di casa, nascoste/i dietro le tende, sedute/i nei cortili davanti ai portoni delle case, durante la messa, al negozio di alimentari o al bar. I/le reporter del comitato offrivano incipit sensazionalistici tipo “ma sai cosa fa la figli di…” oppure “ma tu non sai questa!” per avviare una tribuna politica sui valori, sulle regole, sul mondo che andava a rotoli, i giovani delinquenti e i genitori incapaci, le gonne troppo corte e le uscite troppo lunghe. Io li osservavo nelle loro diverse sfaccettature grazie a mia zia, che aveva sempre l’ironia in tasca ed il giusto atteggiamento provocatorio perché il comitato potesse non restare a corto di temi da trattare all’ordine del giorno, soprattutto durante le calde serate estive, in cui ci si riuniva all’aperto portando con sé la sedia da casa. Chiunque, grazie all’estenuante lavoro del comitato, non era esonerat* dall’avere un etichetta stampata addosso, pure se nessuno dei componenti del comitato aveva mai neanche sentito la sua voce. Nessuno chiedeva, nessuno verificava, nessuno si trovava altro da fare, ma tutt* sapevano etichettare benissimo, come in una catena di montaggio. Al di là dell’ironia di mia zia, nessuno metteva in discussione il comitato, perché comunque “qualcosa di buono faceva” – ehm… – ovvero, presidiava il territorio, e difficilmente accadevano misfatti fuori dalla loro supervisione; inoltre noi bambine/i eravamo continuamente sotto controllo, e questo era il tacito compromesso che faceva convivere tutt* in pace. Ho vissuto la mia infanzia nell’epoca in cui l’eroina faceva stragi di giovani che vivevano la loro dipendenza ai margini come i lebbrosi, che come fantasmi dovevano attraversare le nostre vite senza dare né troppo nell’occhio né troppo fastidio, e le loro famiglie erano materia di lezione sulla crisi dei valori e l’incapacità genitoriale. Anzi, attraversavano le “loro” vite, quelle di chi mi stava intorno, perché nelle nostre vite c’era spazio per chiunque si volesse fermare, e non si sbirciava il mondo fuori bisbigliando, ma lo si viveva accogliendo.
Essere cresciuta in un contesto familiare non bigotto, mangiando pane e diritti civili, mi ha preservata da tutto quel falso logorroico perbenismo, per il quale tutto ciò che esulava dallo schema della famiglia tradizionale esteriormente ordinata ed omologata era da condannare e correggere.
Queste sono le stesse precise dinamiche che, mattoncino dopo mattoncino, cazzata dopo cazzata, hanno contribuito a costruire quell’immenso castello di sterco che è la propaganda delle destre radicali e conservatrici contro i i diritti riproduttivi, contro le donne, contro la comunità LGBTQ+: CONTRO TUTTO E TUTT*, tranne loro stesse/i che, nel nome della difesa di quella eteronormatività eretta a sistema, costruiscono e giustificano ogni discriminazione possibile, difendono la sacralità della famiglia tradizionale composta da madre-padre-figli, la sessualità a fini riproduttivi, colorano il mondo di “blu per i maschi e rosa per le femmine” che, “per natura” ricoprono ruoli ben definiti e differenti, hanno innate predisposizioni emotive, comportamentali a definizione delle loro abilità. L’uomo è bianco, cisgender, eterosessuale: sotto, nella scala gerarchica di cui egli è il fiero apice, c’è tutto il resto. Per tutto il resto, inferiore di certo, ogni possibile discriminazione. La battaglia per l’eliminazione di ogni diritto per chi sta sotto, è combattuta a suon di minchiate, per far presa su quello su tutta quella parte dell’opinione pubblica che non approfondisce, che si ferma al sensazionalistico incipit, che non conosce empatia. Un enorme e sconfinato comitato di quartiere, che punta il dito verso chiunque sia fuori dal recinto delle certezze, e che profana quel rifugio inviolabile.
Accade così che qualche difensore di questi inviolabili valori e recinti, il Vaticano in prima linea,  inventi una pericolosissima “ideologia gender” che andrebbe a scardinare un ordine naturale esistente solo nelle loro menti e che verrebbe inculcata a tener* ed innocenti bambine/i: accade che, approfittando dei loro luoghi sicuri, ovvero le scuole, alcuni pervertite/i insegnati si servano di immonde creature che fanno parte della “lobby gay” per indurre le povere anime a convertirsi alla lasciva ed immorale omosessualità. Ecco. Nelle scuole. Durante le lezioni. Arrivano certi tizi e certe tizie che, dopo aver utilizzato un pendolo per ipnotizzare i fanciulli e le fanciulle, li inducono ad “omosessualizzarsi”, contro la loro volontà e li forzano a ad avere comportamenti oltraggiosi, promiscui e offensivi della dignità umana. Ed allora certamente, dopo questa stregoneria, la piccola Maria tornerà a casa e dirà a mamma e papà che da grande vuole sposare Giulia, e Paolo dirà che si è fidanzato con Lorenzo, ed il mondo andrà a rotoli, perché non nasceranno più bambini, perché ci estingueremo o addirittura sarà loro concesso di adottarne, perché non c’è più rispetto per ciò che la natura ha definito con tanta chiarezza perché…perchè “allora sposatevi con il vostro cane no?”, ma “giù le mani dai bambini! Si, giù le mani dai bambini! Perchè Dio ci ha fatti uomini e donne, con dei precisi ruoli e doveri!”. Immancabile, il sempreverde “oggi se le inventano tutte per avere attenzione, ai miei tempi certe cose non si vedevano!”, che rimane un’affermazione buona per tutte le stagioni…
E mentre da una parte si combatte l’avanzare della “teoria gender” con lance e scudi, dall’altra, sedute/i in panchina a sorseggiare mojito, quelle/i che “per me ognuno può fare quel che vuole, non capisco perché vi incazzate tanto, dove sta tutta sta discriminazione? Piuttosto, parliamo di lavoro, caro benzina, la pensione di mia nonna, la sciatica di mia madre, le emorroidi del nonno, questi giovani che non hanno voglia di lavorare…”.
La storia insegna: ogni oppressione è stata costruita prima attraverso il consenso politico, poi giustificata con la menzogna, per essere sostenuta dall’ignoranza, e rafforzata dalla noncuranza.

“La storia lo insegna, a chi non studia solo il susseguirsi degli eventi storici, ma ha gli strumenti per comprendere i meccanismi di causa-effetto. E questo dovrebbe essere il ruolo della scuola: stimolare la capacità di analisi, per comprendere che ad un’azione A, corrisponde una reazione B. Per poter evitare il ripetersi di eventi catastrofici, guerre, sfruttamento, abusi”: queste ultime sono le parole di una cara compagna ed amica che è insegnante di scuola primaria: grazie alle persone come lei conservo speranze per il futuro, e continuo a nutrirle. Grazie alle conversazioni con persone come lei, sopporto anche quelle con chi ha a cuore solo il proprio futuro immediato.

Parlando di scuola primaria, anni fa accadde una di quelle cose che ci fanno toccare con mano la discriminazione, fino a sentire al tatto che ha proprio la consistenza dello sterco. Mi fu raccontato di una mamma che, attraverso la chat dei genitori di scuola elementare, aveva raccontato di una cosa gravissima: una sessuologa ed una psicologa erano andate nella classe di suo figlio – seconda elementare – ad inculcare l’idea che un principe può diventare una principessa. Ne uscì uno scandalo: il Direttore Scolastico fu chiamato a rispondere di tale assurdo avvenimento, in quanto si trattava chiaramente di una incitazione a “diventare” omosessuali, e se ne parlava in classe come se fosse normale. Il caso volle che io mi trovavo ad essere parte dell’associazione che, in accordo con la scuola, teneva delle letture con le classi sull’educazione alla non discriminazione. Ed a tenere questi incontri, in presenza dell’insegnante, erano due volontarie dell’associazione, né psicologhe né sessuologhe, adeguatamente formate, che si sono presentate unicamente con i loro nomi, come erano solite fare, come avviene normalmente. Nessuna delle letture narrava di principi trasformatisi in principesse, più precisamente si trattava di libri della casa editrice Settenove, casa editrice che ha come scopo principale quello di curare la prevenzione della violenza contro le donne attraverso pubblicazioni per infanzia ed adolescenza che mirano a costruire modelli non discriminatori di educazione paritaria. E per poter prevenire la violenza sulle donne, occorre educare alla relazione, senza stereotipi. Cosa accade se in una classe di scuola primaria si leggono favole in cui la principessa salva il principe? Una cosa a dir poco sconcertante, ovvero che si fornisce una contro -narrazione: se anche la principessa salva il principe, allora è possibile che le donne siano in grado di affrontare peripezie e difficoltà esattamente come gli uomini, ed addirittura essere autonome, non “protette”. Giammai! Non possiamo permettere che delle innocenti bambine crescano con l’idea di non dover per forza trovare un principe azzurro che le protegga dalle avversità! Ne va della sopravvivenza della favola del matrimonio, dell’istinto materno, del blu per i maschi ed il rosa per le femmine, del maschio astronauta e la femmina casalinga…che diamine!
Può darsi che un bambino o una bambina, di fronte alla richiesta di un genitore su come si sia svolto questo incontro, riassuma il racconto dicendo che i ruoli che conosceva, perché ripetuti allo sfinimento nelle favole ascoltate fin dal suo primo respiro, si sono invertiti. Ci sta.
Ciò che ho trovato veramente inaccettabile e diffamatorio, è il fatto che questa mamma abbia deliberatamente aggiunto dettagli falsi – per scatenare le ire di altri genitori privi della facoltà di discernimento – ovvero che le due volontarie si siano presentate come una sessuologa ed una psicologa, ed abbia gridato allo scandalo dell’”omosessualizzazione” delle creature. Queste notizie fanno il giro del mondo in un microsecondo, e vanno ad alimentare quel pozzo senza fondo di menzogne che ha come unico risultato finale quello di danneggiare le vite dei loro stessi figli/e. Sotto casa, mi capita da anni di udire ragazzini utilizzare un linguaggio sessista, omofobo, discriminatorio, anche nel banale giocare a calcio, o mentre sono seduti a parlare tra loro: lo fanno a gran voce, ed i loro genitori possono chiaramente udire. Possono udire quando, parlando delle loro compagne di scuola, le definiscono mignotte per come vestono, o dicono cosa farebbero loro, e quello che farebbero loro ha a che fare con lo stupro. Soprattutto, utilizzano la figura della prostituta per indicare una donna che non merita rispetto. Ma loro utilizzano linguaggi ed atteggiamenti che hanno introiettato. Lo facevano quando avevano 7 o 8 anni, lo fanno ora che ne hanno 13 o 14. Ma guai a bestemmiare, la bestemmia no! Perchè? Perchè in casa si parla di froci, mignotte, donne che andrebbero punite con lo stupro e che se la son cercata per come vestono e per come sfoggiano la loro libertà. Ma la domenica si va in Chiesa, quindi la bestemmia no. Allora, non è forse il caso di mettere in salvo il futuro e la libertà di chiunque, a cominciare da quando possono mettere i piedi fuori casa e passare del tempo in un luogo di relazione con un mondo variopinto, dinamico e non rigidamente imposto? Magari qualcosina si riesce a trasmettere a quella parte della mia generazione che, nonostante veda il mondo dal buco della serratura, ha scelto di riprodursi, e di riprodurre un modello machista di relazione, il vero fallimento di questa società. Magari, riusciamo a far entrare questo mondo colorato e vibrante di libertà che è il mondo dell’attivismo per i diritti umani e si accorgeranno che non è mica male vivere la propria vita e non quella degli altri. Magari…il comitato di quartiere decide di passare il tempo a coltivare solidarietà piuttosto che giudizi non richiesti.

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