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VOLEVO SOLO LEGGERE IL MIO LIBRO!
10 Settembre 2023
Verona, Parco San Giacomo. Si trova nel quartiere Borgo Roma, a circa due chilometri dal centro, nella zona sud della città.
Ero di passaggio, giusto tre giorni accompagnare mia madre in ospedale. Mi aveva piacevolmente sorpresa la presenza di questo grande parco proprio a pochi passi dall’ospedale, l’ho considerato un simbolo di accoglienza e cura del benessere delle persone che vivono il quartiere o che lo attraversano giusto per motivi di salute. Ho pensato che anche le persone che attendono chi è in ospedale per un ricovero, un intervento, degli esami, possono trovare conforto in mezzo al verde e facendo due passi in tranquillità. Magari leggendo un libro, come ho fatto io, quel giorno. O come ho tentato di fare.
Sono arrivata presto la mattina, faceva appena giorno e ho potuto osservare la fruizione del parco nelle diverse fasce orarie, immaginando le abitudini di vita di abitanti e occasionali frequentatori e frequentatrici come me. Come sempre, il mio inseparabile compagno di vita era con me: non quello che ho sposato, ma quello più peloso e con quattro zampe. Sono arrivata in auto e ho atteso un po’ prima di scendere perché un tizio si allenava presso la zona dove si trova la palestra a cielo aperto mentre il suo pitbull si aggirava liberamente nel parco a una distanza da lui nono troppo rassicurante per i passanti. Noi – io e quadrupede – amiamo ogni cane che calpesti questa terra, ma l’ultima volta che abbiamo attraversato un parco nel quale un pitbull sciolto scorrazzava senza badare al suo accompagnatore, ce la siamo vista talmente brutta che da qual momento la mia assoluta fiducia nel prossimo con cane deve ogni giorno essere ricostruita.
Sono traumi che si possono comprendere solo e unicamente se ci si è trovate/i in una situazione non simile, ma perfettamente uguale.
Ad ogni modo, questa attesa mi ha permesso di osservare che al mattino prestissimo, all’incirca intorno alle 6 e fino alle 7, il parco è frequentato da uomini e donne che si allenano, passeggiano con i cani – li vedevo in lontananza perché non si avvicinavano al tizio che si allenava – probabilmente prima di recarsi al lavoro, e altre persone che lo attraversano magari per andare a prendere i mezzi pubblici.
Quando finalmente sono scesa dall’auto per fare una passeggiata, ho potuto apprezzare la vastità di questo parco ma ho anche notato che alle 7 del mattino i cestini erano stracolmi di immondizia, e non avrei visto nessuno vuotarli per tutta la mattinata.
Dopo aver fatto un lungo giro intorno al parco, ho deciso di sedermi in un’area in cui le panchine formavano una sorta di piazzetta. Nel frattempo si erano fatte le 9 del mattino, e i mattinieri avevano lasciato il parco alle persone anziane e alle famiglie con bambini e bambine.
Nel sedermi, ho notato che le panchine erano dotate di un bracciolo di ferro centrale, e che l’ultima stecca di legno della seduta era posta in discesa. Ho esclamato “conviene portarsi la sedia da casa, sono scomodissime!”, ma poi mi sono ricordata delle famose “panchine anti-bivacco”, quelle tanto amate dagli amministratori che non vogliono far dormire i senzatetto sulle panchine, perché i poveri devono morire di fame e possibilmente di sonno.
Quindi queste panchine le hanno pensate e realizzate in modo che non ci si possa sdraiare ma neanche sedere tanto a lungo, perché un culo ci entra male.
Avevo già tirato fuori il mio libro, ma prima di immergermi in una lettura certamente più interessante del pensiero di chi ha partorito questi orrori a cielo aperto, ho voluto googlare “panchine anti-bivaccoo Parco San Giacomo Verona”. Dovevo togliermi questa curiosità, perché in un parco così grande di panchine ce ne erano tante, e quindi tanti soldi sono stati date alle fiamme. Ho trovato questo articolo di Verona Sera in cui si parla proprio della diatriba politica tra chi chiede la rimozione delle panchine e chi invece vuole quelle inclusive – se volete leggere di cosa si tratta e anche qualche critica mossa a mio avviso a ragione, potete leggere qui.
E insomma, ma chi lo avrebbe mai detto? Le panchine anti-bivaccoo sono state volute dall’amministrazione Tosi che tanto ha investito perché il parco venisse restituito agli anziani, ai giovani e alle famiglie che se lo sono visto sequestrare da questi zozzoni di “extracomunitari” -il termine utilizzato nell’articolo – che dormono sulle panchine. Il parco, dicono, non deve essere un presidio di sbandati, e l’essere sbandati coincide con l’essere “extracomunitari”, i residenti sono tutte personcine per bene che vanno al parco a respirare aria pulita, passeggiare, e portare fuori il cane.
Il quartiere di Borgo Roma, leggevo, è una zona poco sorvegliata e, aggiungo io, poco servita da chi dovrebbe svuotare i cestini ogni mattina. Ma le panchine anti-bivaccoo risolvono il problema di un quartiere evidentemente problematico, senza dover scomodare chi dovrebbe curarsi dell’ordine pubblico e del decoro. Tanto la colpa è degli “extracomunitari”.
Bene, letto l’articolo citato e anche altri sull’utilità di queste sedute medievali, per togliermi dalla mente l’immagine di Tosi che propaganda questa intelligentissima trovata ho deciso di aprire il mio libro.
Intorno a me anziani, famiglie, giovani. A rigor di logica potevo stare tranquilla.
Quello che racconterò, essendo avvenuto in un lasso di tempo molto ristretto, potrà sembrare frutto di invenzione, e invece non lo è.
L’anziano
Proprio di fronte a me, sul lato opposto di questa specie di piazzetta di panchine, era seduto un uomo anziano che, mentre si godeva l’arietta del parco, fumava a ripetizione spegnendo tutte le sue cicche per terra a formare un bel tappetino insieme a quelle che altri fruitori del parco avevano già lasciato. Ho notato questo individuo per questo motivo, notando la sua inciviltà. Nel frattempo è passato un ragazzo con un cane e l’uomo in questione gli ha detto qualcosa indicando me: ho pensato gli stesse facendo notare che avevo un cane…“è una persona anziana” ho pensato “interagisce”. Il ragazzo mi ha guardato come a volermi far notare che l’anziano non era proprio a posto, proseguendo la sua passeggiata. Ho continuato a leggere. Trascorso qualche minuto, l’anziano veronese si è alzato, mi è passato accanto e da lì è iniziata una conversazione che, nonostante tutto, posso assicurare essersi conclusa senza che io gli abbia torto un capello:
“Allora, vado a chiamare mio figlio” mi ha detto
Ho alzato gli occhi dal libro perché non ero sicura si rivolgesse a me, ma ancora pensavo al vecchietto solo che voleva parlare con qualcuno. Ce l’aveva con me.
“Prego?”
“Dicevo, vado a chiamare mio figlio per farla corteggiare!” ha esclamato sornione, il vecchietto.
Adottando la postura e la cortesia che Miranda Priestly rivolge alle sue dipendenti ne Il Diavolo veste Prada, ho ruggito:
“Mi scusi, c’è qualcosa che le fa pensare che io voglia essere corteggiata da qualcuno? Perchè non se ne va? Buona giornata”
Mi sono voltata, pensando che il fuoco che mi usciva dalle narici lo avesse fatto ben pensare di togliersi dai piedi
“Beh, mi scusi lei, ma una bella donna come lei si siede qui da sola e non vuole essere corteggiata? Di certo preferirà essere corteggiata da una persona più giovane piuttosto che da un vecchio”
Credo di aver tenuto una mano ben salda sotto quella ultima stecca di legno della panchina medievale per non alzarmi:
“Dal momento che io non le ho concesso di rivolgersi a me, di certo non le concedo di molestarmi, perché pretendo di non essere molestata né da un vecchio come lei né da nessun altro. Prenda la strada di casa, accetti questo suggerimento. Si allontani da me”
Con la faccia di chi crede di aver fatto svolto egregiamente il suo ruolo di predatore, l’anziano frequentatore di diritto del parco si è allontanato dopo avermi molestata di fronte ad un altro uomo, il quale si è limitato a farmi un cenno di approvazione per la mia risposta, ma non ha inteso intervenire.
Io ero allibita. Volevo solo leggere il mio libro. Ma il parco è suo.
Il giovane
In preda ai nervi per non averlo inseguito e preso a calci nel culo come meritava, prima di rimettermi a leggere ho ripreso un po’ di fiato, guardandomi intorno e cercando di non pensare cosa sarebbe accaduto se al mio posto ci fosse stata una ragazzina, che magari non avrebbe riconosciuto quella come una molestia da parte di un vecchio-uomo-porco-schifoso.
Mentre mi guardavo intorno, mi sono accorta di un ragazzo con due cani. In realtà io guardo prima i cani e poi le persone, preferisco questo ordine di priorità.
Uno dei cani, felice di scorrazzare tra l’erba fresca del mattino, ha espletato la sua mattutina defecazione: nulla di più soddisfacente, penso io. Il ragazzotto, dopo averlo osservato -perché chi ha un cane lo sa che guardiamo il colore, la forma, la densità di ogni cagata dei nostri cani – ha proseguito la sua passeggiata e lasciato il prodotto lì, nel prato, dove la gente cammina e i bambini giocano.
“Scusa…ma la cacca del cane non la raccogli?”: di solito in questi casi, fatte le dovute eccezioni, le persone colte in flagrante accampano scuse tipo “Uh, ero distratto, grazie di avermelo detto!” o “Ma dai, l’aveva appena fatta, neanche ci pensavo” e la sempreverde “Sto andando a prendere i sacchetti in Alaska e poi torno a raccoglierla. Magari ne hai uno te?”. Ecco, ormai ci sono abituata, ma farlo notare e far fare una figura di merda funziona da promemoria per le volte successive.
E invece il tizio, senza neanche fermarsi e continuando a guardare dritto davanti a sé “Sta lì, vattela a prendere…cazzo me ne frega…”. Io a quel punto ho lanciato un secco e intonato “Mavaffanculo!” e ho chiamato la polizia locale, perché è così che bisogna fare e, se lo facciamo in tante/i, magari qualcosa cambia. Ho riferito tutte le caratteristiche del ragazzo e dei cani, consapevole del fatto che nessuno sarebbe intervenuto, perché tanto poi la colpa è degli “extracomunitari”, e va bene così. Mentre la propaganda rafforza l’immagine del nemico, il giovane che si riprende il parco di diritto lo insozza, e con la sua piccola testolina di cazzo lo rende impraticabile alle persone civili.
Ma il parco è suo.
Il padre di famiglia
A quel punto, mentre parlavo con il mio cane che risulta come sempre più recettivo di qualunque essere umano io possa incontrare per caso, è arrivato il rinoceronte.
Per la precisione, a pochi metri da me c’era un uomo sulla cinquantina che giocava con quella che forse era sua figlia di circa 5 o 6 anni. Impossibile non notarlo perché credo fosse uscito di casa così come stava dormendo: pantaloncini corti di cotone e un enorme busto nudo che lo faceva somigliare, appunto, a un rinoceronte. Insomma, l’eleganza lo rendeva particolarmente visibile. Mentre riprendevo la mia lettura l’energumeno, andando via, pronunciava un richiamo, una specie di “psss psss” molto amplificato. Io ho pensato ce l’avesse con il cane, e invece ce l’aveva con me, perché appena ho alzato lo sguardo ho notato il viscidume che trabordava dai suoi occhi e dalla sua bocca.
A quel punto, a voce alta, ho esclamato “Eh no, ma pervertiti e incivili sono radunati tutti qui a quest’ora? Ma che problemi avete? Che cazzo di problemi avete????”.
Lui, dal momento che teneva la povera creatura per mano, ha affrettato il passo per non rischiare che lei se ne accorgesse.
Io volevo solo leggere il mio libro. Ma il parco è suo.
Quarantacinqe minuti: questo è il tempo che ho trascorso su quella panchina da tortura. Quarantacinque minuti in cui ho potuto confermare a me stessa ciò che già sapevo: individuare dei nemici con delle caratteristiche ben riconoscibili, definirli genericamente “extracomunitari”, è il modo migliore per non intervenire su un sistema culturale e di potere che è invece ben consolidato attraverso la legge degli uomini e del più forte, è la legittimazione del potere di personaggi squallidi che non avrebbe altrimenti alcuna speranza di amministrare una città e, peggio ancora, di governare un Paese. La cosa peggiore è che siamo talmente abituate/i a essere circondate/i da questi personaggi di basso livello che abbiamo perso la capacità di fermarci a osservare con i nostri occhi, ascoltare con le nostre orecchie, accogliere le nostre sensazioni. Loro approfittano di questo nostro continuo correre in avanti, della nostra precarietà, e cercano di mantenere tutto così com’è, per non farci fermare a recuperare l’umanità. Loro non vogliono che noi abbiamo il tempo di sederci su una panchina per fare i conti con la realtà. E se ci sediamo, la panchina non deve essere così comoda da farci restare troppo a lungo. Ci perdiamo in discorsi vuoti, ripetendo a pappagallo stralci di questa propaganda divisiva, che alimenta violenze e chiude ogni possibilità a quel dialogo che costruisce ponti.
Io ho deciso di mettere via il libro e tirare fuori il taccuino che tengo sempre con me e, mentre scrivevo, un ragazzo africano è passato davanti a me parlando al telefono una lingua che non capivo. Guardava davanti a sé, non mi ha rivolto né lo sguardo né la minima attenzione. Era immerso nella sua conversazione, ha gettato una bottiglietta vuota nel cestino.
Ma il parco non è suo.
Vorrei sapere da Tosi che panchine mettiamo per i molestatori, magari lui ha qualche idea geniale delle sue. Perché io volevo solo leggere il mio libro.
1 commenti su “VOLEVO SOLO LEGGERE IL MIO LIBRO!”
Mammamiaaaa,
Aberrante.
Ma che Verona è l’apoteosi dei cavernicoli civilizzati stile Ventennio io l’ho sempre notato…