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Tempo di lettura: 12 minuti

Ho sempre amato quella solitudine che mi permette di osservare dal di fuori il mondo in cui vivo: è una solitudine fatta di piccole cose, osservazioni, riflessioni, fantasia. Esplorare dinamiche e persone, il modo in cui le relazioni influenzano le azioni, quello con cui gli stereotipi creano le basi solide di convinzioni e regole che spesso seguiamo senza farci troppe domande, perché ci troviamo in un vortice di parole, rumori, notizie, opinioni da esprimere, posizioni da prendere, “questo e quello” da condividere al più presto senza chiederci per chi o cosa lo stiamo facendo. Insomma, ho sempre amato l’esercizio della meraviglia!

Parliamo delle persone piuttosto che con le persone, definiamo le loro capacità, il loro valore, il loro ruolo nella società, le loro competenze, in base al nostro personale metro di giudizio, senza partire da loro ma a partire da noi, anche quando ci autodefiniamo priv* di pregiudizio, utilizziamo la dissertazione sulle vite altrui per parlare in qualche modo di noi, per collocarci in uno spazio ed un tempo riconosciuto e condiviso, come se altrimenti la nostra stessa esistenza non avesse un valore.

Solo per citare alcune circostanze in cui probabilmente vi sarete trovat*, ed in cui io personalmente ho finto di parlare con qualcun altro, tipo il muro, pur di non dover rispondere:

Io non sono mica omofobica eh, per me ognuno è libero di stare con chi vuole. Però quando due omosessuali si baciano per strada no, cavolo. Quelle porcherie le fai a casa tua, non in mezzo alla strada! IO non le faccio in mezzo alla strada!”: baciarsi per strada è una porcheria…o forse sei omofobica e non ti rendi conto di non saperlo minimamente nascondere? E dal momento che tu sei omofobica, allora due persone dello stesso sesso non devono baciarsi per strada. Volendo credere al fatto che non sei omofobica, due persone non dovrebbero baciarsi per strada perchè tu non lo fai. Quindi ci sei sempre tu al centro del ragionamento.

“Per carità, rispetto le scelte alimentari di tutti. Però quando le persone mi dicono di essere vegetariane o addirittura vegane, allora divento intollerante: nella vita ci vuole la giusta misura, bisogna mangiare un pò di tutto. IO non mangio chissà quanta carne, però proprio niente non lo capisco”: bene, se non capisci puoi partire dal domandare, e magari arrivi ad esplorare il fantastico mondo dell’ascolto empatico; ma se non te ne frega niente, puoi semplicemente farti i cazzi tuoi e non affrontare affatto l’argomento, l’umanità te ne sarà grata.

“Non ho nulla contro le persone omosessuali, basta che non diano loro fastidio a me”: a questo però ho risposto “perchè dovrebbero? Ah si, tu pensi che un uomo per il fatto di esser gay vada in giro a tastar culi e molestare altri uomini a caso…tipo come fai tu con le donne. Ma qualcuno ti ha detto che c’è un motivo per cui dovresti attirare a prescindere l’attenzione di un uomo? O di una donna?

Abbiamo a disposizione grandi risorse che spesso sottovalutiamo, fino a perdere di vista la loro utilità anziché servircene per poter migliorare la nostra vita e quella del mondo intero: non mi riferisco soltanto all’accesso alla cultura ed ai saperi, ma anche ai nostri sensi, alla possibilità di essere in relazione, di poterci muovere ed esplorare. Le diamo per scontate, quando non lo sono affatto, non per chiunque al mondo. Possiamo scegliere di prenderci radicalmente cura di noi, solo così abbiamo il potere di prenderci cura del mondo.
A volte ho sentito il bisogno di allontanarmi per un pò, perchè i social network, le conversazioni prive di un obiettivo costruttivo, non stimolavano la mia curiosità, piuttosto alimentavano la mia rabbia verso le false notizie, verso il bisogno di apparire e non di essere, l’intolleranza dilagante e lo sfogo libero di chi non distingue una piattaforma social dal balconcino di casa.
Il frutto della continua esposizione alla relazione virtuale, all’iperconnessione che di fatto è disconnessione dalla realtà, è stata la temporanea sospensione della capacità di guardare in alto o di fronte a me quando camminavo per strada, quando sedevo a bere un caffè o in un qualsiasi posto con il mio cane, avevo sospeso la capacità coltivata fin da bambina di “ritirarmi” per guardare il mondo reale dalla finestra e cercare di comprendere le mie reazioni. Il bisogno continuo di farmi domande anzichè avere risposte, di non sentirmi nè arrivata nè di dover arrivare al termine di un percorso, di analizzare ciò che mi circonda a partire dai sentimenti, dalle emozioni, dalle sensazioni corporee che provoca in me, non può essere saziato da conversazioni  prive di contatto umano, di reciproco scambio di sensazioni e feedback non verbali.  Ho sentito il bisogno di assentarmi, per poi continuare ad usufruire dei social networks ma con la consapevolezza di chi non si lascia sopraffare, di chi non vuole ridursi a girare per strada con lo sguardo fisso sul nulla – come direbbe Fran Lebowitz – ovvero sullo smartphone. E’ accaduto nel periodo in cui la pandemia da Covid-19 irrompeva nelle nostre vite con tutto il carico di paure, ansie, menzogne, virologi e virologhe superstar, grotteschi complottismi, odio e discorsi privi di senso sulla scienza. Chiunque aveva una risposta, poche le domande, pure il meccanico si era fatto scienziato, e come sempre nella storia, si andavano costruendo mano a mano nemici che potessero dare volti e corpi alle nostre paure. Era troppo! Per un pò mi sono fermata, mi sono ricentrata, sola nella mia casa. Per poi tornare in quella realtà virtuale che va manipolata con cura, che non sostituisce le nostre relazioni, che se ben gestita è ciò che ci permette di essere nel mondo. Non di diventare scienziat*, medic*, avvocat*, giudici, sociolog*, e così via. Sono tanti i modi attraverso i quali possiamo vivere la vita facendoci domande, godendo di tutte le nostre emozioni, accogliendo il cambiamento, senza dover correre da una parte all’altra illudendoci che stiamo seguendo il percorso che ci porterà ad un traguardo.

FATTI UN CANE (O UN GATTO), MA ANCHE DUE!

E’ ciò che posso rispondere a chi mi chiede come ci si può reimpossessare della capacità di osservare il mondo che ci ci circonda e noi stess*: il mio cane è stata la mia “rehab” dal mondo del perpetuo rincorrere e saltare gli ostacoli.

Le sue parole d’ordine sono “annusa, osserva, fermati, scruta, lascia un segno se pensi sia importante e…ogni tanto passa oltre fidandoti del tuo intuito, non serve dover spiegare, passa oltre, magari dopo averci pisciato sopra. Schiaccia un pisolino, fai un bel sospiro di soddisfazione quando stai bene”.

In generale, suggerirei di accogliere un animale nella propria vita, e di non sottovalutare mai la sua capacità di renderci migliori. Ma non accogliete un animale se non pensate di poter dedicare del tempo a migliorare la vostra vita e la sua. Non fatelo solo perché volete un gioco per la prole, o perchè ce lo hanno tutt*, per poi lasciarlo solo ad ululare al nulla per ore intere, festività e vacanze incluse, o trascorrere il tempo a rimproverarlo e pretendere che risponda ai vostri ordini come una marionetta, che non lasci peli in giro, che viva la sua vita relegat* in un misero spazio della casa: non meritiamo un animale se non siamo dispost* a prendercene cura. Prima di tutto dovremmo chiederci se sappiamo donare noi stess* ad un essere vivente che, a differenza di un figlio, non si emanciperà mai da noi, fino alla fine dei suoi giorni. Non ce lo ordina mica il medico di vivere la vita con un animale in casa, se volete compagnia, oggi abbiamo Alexa, Google Assistant, che rispondono ad ogni nostra domanda, e possono pure riprodurre i versi degli animali.

Un animale vi insegnerà molte cose, anche a selezionare le persone intorno a voi, se saprete ascoltarlo e se farà parte della vostra famiglia.

Sarà la medicina migliore quando starete male, la compagnia ideale quando sarete felici. Non abbiate timore di manifestare gratitudine, affetto, considerazione e spirito di adattamento verso il vostro animale, chi svaluterà tutto ciò qualificherà sè stess*, non voi: saranno presumibilmente le persone che, pretendendo di avere compreso ogni cosa della vita – la propria, la vostra, quella dell’universo intero – vivono costantemente nel bisogno di affermare sè stesse squalificando il prossimo, ovvero quelle di cui parlo sopra: non si fanno domande, non ne fanno, ma hanno un sacco di risposte pronte all’uso. Non importa quale immagine abbiano cercato di costruire di sè…sono i dettagli a far calare le maschere: annusatele, guardatele negli occhi, osservate la parte non verbale della comunicazione, l’aria di sufficienza con cui vi dicono “ah…si…anche io ho avuto un cane…ma stava in giardino” sottintendendo “la gente figa non stringe rapporti empatici con le bestie, e io sono figo, tu no”. Le stesse persone avranno sempre lezioni da impartire, lezioni che non prevedono ascolto empatico, ma solo regole di vita a partire da sè. Vivono in un mondo piccolo, e non intendono esplorarne di altri, si sentono al sicuro così…e lasciamole fare, contente loro…

Foto di 0fjd125gk87 da Pixabay

Con il mio cane ogni tanto intrattengo conversazioni immaginarie, che rendono i miei limiti e punti deboli più accettabili attraverso l’ironia, e le esperienze traumatiche degne di essere affrontate e superate in nome di una amicizia indissolubile che ogni giorno mi fa vedere il mondo come non avrei mai immaginato prima.

 

 

E quali sono le perle di saggezza in cui ci si imbatte quando un cane entra a far parte delle nostre vite? Tra le ricorrenti e prevedibili abbiamo:
“Neanche un figlio ha tutte queste attenzioni”: devo per forza ricorrere a dei termini di paragone? Il fatto che tu non conosca empatia verso un animale, implica che qualcun altro ne abbia troppa? Qualche oscura ragione si cela dietro all’uso di questa espressione, o qualcuno vi ha fatto credere che le vostre opinioni siano indispensabili nelle vite altrui?

“vabbè, se lo lasci solo e piange…piangerà, è un animale” (accompagnata dall’immancabile aria di sufficienza di chi ha il dono di sapere tutto-tutto nella vita) : ti ha sfiorato la mente il fatto che io preferisca stare con il mio cane piuttosto che lasciarlo solo per stare con te? Ti passa per la mente che al mondo esistono anche le persone esperte di cinofilia, alle quali si rivolge chi ha bisogno di una consulenza sul proprio cane? Non te ne avere a male, ma devo darti la triste notizia: non sei tra quelle. Però su Facebook potrai organizzare un simposio di espert* in aria fritta.

“Certamente hanno un cane perchè non possono avere figli”: l’opzione che non si abbiano figli perchè NON SE NE VOGLIONO, non è contemplata, non esiste, non la nominate neanche, per carità! Soprattutto se arriva un cane in casa…ovvio che sia un surrogato di un figlio, a chi volete darla a bere????

Ecco, se decidete di prendere un cane, preparatevi a questi siparietti-spiegoni: ma ne vale la pena, soprattutto per farsi quattro risate!
In tutta la mia vita, la scelta di prendere un cane è stata di certo quella che di più ha influenzato positivamente il mio percorso di crescita, perchè ha reso il viaggio più confortevole, le salite piacevoli, le soste creative e ri-creative, e la scelta delle compagnie certamente stimolante.
Avere accanto un compagno che vive la vita attraverso sensi che nella quotidianità non prendiamo in considerazione, mi ha  finalmente offerto la possibilità di trovare complicità in ciò che ho sempre considerato una parte determinante del mio stare al mondo: l’osservazione profonda che mette in campo tutti i nostri sensi, per me è stata sempre determinante per fissare i ricordi, le esperienze, i viaggi, i volti, le emozioni.

Utilizzare ogni senso per portare con me un’esperienza ha più valore di una foto: ci sono odori, sapori, sensazioni corporee ed altre che non hanno nome, particolari che posso ricordare a distanza di decenni, anche singole persone incontrate per strada con cui non ho avuto neanche uno scambio verbale, ma che in una specifica cornice hanno contribuito a dare un senso ad una esperienza, a fissarne il ricordo, a stimolare una riflessione.

Mia nipote – poter osservare ed ascoltare il modo in cui i miei nipoti vivono e vedono il mondo è l’altro privilegio che sento di avere – mi dice spesso “questa cosa odora di te zia, ma non del profumo che usi, proprio di te…non so se capisci… ognuno di noi ha un odore e io me lo ricordo!”. Certo che la capisco, è la manifestazione della sua capacità di prestare attenzione ai dettagli non visibili, all’individualità, all’unicità. Mia nipote adora ogni singolo cane che incrocia pur non possedendone uno: come avrebbe potuto essere diversamente?

Lilith’s Eye è lo sguardo sul mondo attraverso i miei occhi , che si contaminano con quelli del mio cane, con quelli delle persone intorno a me e delle persone che hanno lasciato nella mia vita tracce di storie attraverso i ricordi. Uno sguardo che vuole allargare i suoi orizzonti per costruire nuove rotte verso la via della libertà di esistere per ciò che si è, attraverso le discese verso la profondità delle relazioni illuminate dalle mille luci dell’empatia, della curiosità, dell’assenza di confini. E’ il racconto continuo di esperienze mie e di chiunque abbia voluto condividere con me le proprie, di chi vorrà farlo ancora, per poterci avvicinare e scoprire come costruiamo la nostra visione del mondo che ci circonda, a partire dal sederci in un qualche luogo per capire cosa questo mondo suscita in noi.

“Half of me is beautiful
but you were never sure which half.”
— Ruth Feldman, “Lilith”

Non avrei potuto scegliere, a mio avviso, uno pseudonimo migliore di questo, perchè Lilith oggi rappresenta un simbolo di emancipazione femminile, ma nel corso dei secoli è stata sempre una figura controversa, metà demone e metà umana: talvolta descritta come dedita ad accoppiarsi con i demoni, molto più spesso come una figura che celebra riti pagani in armonia con la natura.

La tradizione ebraica la vuole antecedente ad Eva, come prima moglie di Adamo, creata anche lei dalla polvere e quindi non dalla costola del primo uomo. In ragione di questo, Lilith rifiutò di giacere sotto Adamo, pretendendo eguali diritti. Si ribellò ad Adamo, ribellandosi quindi a Dio: fu ripudiata e cacciata dall’Eden, o se ne andò di sua sponte. Diverse versioni della narrazione su Lilith la vogliono come sposa di demoni, fino a Lucifero stesso, infanticida e madre di demoni. Le diverse epoche, religioni e tradizioni le hanno assegnato delle caratteristiche, fino a definire le donne ripudiate dai mariti come “figlie di Lilith” perchè ella rappresentava la donna adultera.

Oggi Lilith rappresenta la figura della donna che rifiuta il sistema patriarcale ed ogni sottomissione, in nome della propria autodeterminazione. E come ogni donna che abbia manifestato spirito rivoluzionario e capacità di mettere in discussione l’ordine patriarcale, ha subito la manipolazione che l’ha raffigurata come pericolosa, sciagurata, portatrice di eventi malefici, a volte è rimasta vittima di quelle che pensava fossero le sue stesse sorelle, ma erano demoni travestiti.

Ecco, ripercorrendo la mia storia e le persone incontrate lungo il mio cammino, non ho dovuto pensarci troppo su: mi chiamo Lilith, ed è attraverso il suo sguardo che ho sempre visto il mondo, a volte chiedendomi se fossi demone, altre se fossi donna, se fossi ciò che ero convinta di essere, o ciò che gli altri dicevano di me.

Come si dice…

” a veces Angel, a veces Demonio, pero siempre Yo”.

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