Ispirazioni
“Cosa vuoi fare da grande?” “Voglio essere FRAN LEBOWITZ!”
29 Luglio 2022
“The opposite of talking isn’t listening. The opposite of talking is waiting”
-Fran Lebowitz, Social Studies-
Io me lo chiedo ancora oggi: “cosa voglio fare da grande?” Questa domanda impone certamente di guardare lontano, di sentire di avere molto da fare lungo il cammino, implica una strada da percorrere, un mondo da scoprire; è il domani, è il futuro che si costruisce attraverso le scelte del presente, attraverso la curiosità verso ciò che potremmo trovare lungo il viaggio. Finchè mi chiederò cosa voglio fare da grande, mi sentirò al sicuro! Soprattutto, sapere che Fran Lebowitz, finché vivrà, avrà sempre qualcosa da dire, mi fa sentire al sicuro da quel mondo pieno di piccole, grandi, intoccabili contraddizioni. A volte sento di essere piuttosto misantropa, ma in buona compagnia.
Sarcastica, glaciale, geniale, insopportabile, autorevole, incurante di cosa gli altri pensano delle sue osservazioni, capace di avere la risposta pronta su qualsiasi tema: questi sono alcuni dei tratti distintivi di Fran Lebowitz, che la rendono la regina del public speaking, di quei discorsi pubblici e delle conversazioni che Martin Scorsese ha raccolto in due documentari di grande successo (Public Speaking e Pretend it’s a City), mosso dalla sua amicizia e dalla stima verso colei che sin da giovane ha dimostrato di essere una attenta osservatrice della società, una straordinaria commentatrice che non prepara i suoi discorsi prima di tenerli, che ama più parlare che scrivere. E’ una narratrice, produttrice ed occasionale attrice televisiva e cinematografica.
Frances Anne Lebowitz è nata nel New Jersey nel 1950, da genitori ebrei: suo padre era un commerciante, sua madre una casalinga. Fran ha sempre amato molto la lettura, poco lo studio. Si è sempre contraddistinta per essere piuttosto spontanea soprattutto a scuola, una dote non proprio apprezzata. Infatti, all’età di 7 anni aveva dichiarato di non credere in Dio e di essere atea, e a 17 venne espulsa dalla scuola superiore per essere considerata troppo irriverente.
Decise di andarsene dal New Jersey, e si trasferì a New York – tra i 18 ed i 19 anni – con poche centinaia di dollari in tasca, che a lei sembravano una fortuna. La sua ambizione era quella di diventare una scrittrice, ma presto si rese conto che anche ciò che in famiglia trovavano fastidioso e chiamavano “parlantina”, era riconosciuta come “arte oratoria”. Fu sorpresa dal ricevere apprezzamenti e complimenti per quella sua caratteristica che le aveva sempre causato problemi. A New York tutti parlavano di tutto, erano soprattutto gli uomini a farlo; Fran Lebowitz ha avuto la fortuna di non lasciare che la sua autostima venisse scalfita dalle critiche verso ciò che l’aveva fatta espellere dalla scuola e criticare dalla famiglia, ma che è diventato il tratto caratteristico che tutt’oggi la rende una delle più importanti icone degli Stati Uniti, indiscutibilmente la più schietta ed arguta tra i commentatori e le commentatrici sociali, il fatto che consideri i Repubblicani dei nemici non fa che confermarlo. Tutto per quella “parlantina”: mi ricorda qualcosa, è un termine che odio sin da bambina, e che non sopporto venga utilizzato ad esempio per interrompere mia nipote quando parla di sé o di altro: le battute sul troppo parlare mentre qualcuno sta parlando sono fastidiose quando il rumore delle unghie su una lavagna. Dovrebbe essere vietato utilizzare questo squalificante termine, che trasmette solo un “ehi, stai togliendo la parola a qualche adulto che ha cose importanti da dire!”.
E invece, soprattutto dal momento che di solito i bambini si rivolgono ad adulti che hanno scelto di metterli al mondo o che hanno messo al mondo i loro genitori, sarebbe bene ascoltarli per fermarsi un attimo ed uscire dalla confusione delle seghe mentali che attanagliano le loro vite.
Questo è’ solo uno dei pro che andrebbero considerati prima di scegliere di mettere al mondo dei figli. Poi ci sono anche i contro. Fanno parte di un discorso su tutto ciò che le persone dovrebbero considerare prima di scegliere di diventare genitori.
Durante i primi anni a New York Fran ha svolto diversi lavori unicamente per mantenersi e potersi dedicare all’attività di scrittrice: ha fatto la governante, la venditrice, la scrittrice di racconti erotici e la taxista.
A chi le chiede quando abbia scoperto di essere lesbica, risponde di non saperlo con esattezza, perché è cresciuta in un’epoca in cui non si parlava di questo, ed in cui essere omosessuali era illegale ma tutto sembrava essere più concentrato sugli uomini gay piuttosto che sulle lesbiche. Sapeva che i suoi genitori ne erano al corrente, soprattutto perché frequentava ragazze che portava anche in casa, ma l’argomento non è mai stato affrontato direttamente, sarebbe stato imbarazzante prima di tutto per la sua famiglia.
E’ sempre grazie allo spirito di conservazione della propria autostima che a New York, ha avuto amicizie – Charles Mingus, Lou Reed, Duke Ellington– che le hanno permesso di iniziare a frequentare lo Studio 54 e la Factory di Andy Warrol.
Ha scritto per una rivista underground proprio grazie a quella che sarebbe poi diventata la moglie di Charles Mingus, Susan Graham Ungaro.
Uno degli episodi che meglio descrivono la sua irriverente personalità, è stato il primo incontro con Andy Warhol. Si presentò alla Factory, nel 1970, per candidarsi come editorialista della famosa rivista Interview Magazine: c’era una porta con scritto “bussare forte e pronunciare il proprio nome”. Così ha bussato, e quando Warhol ha chiesto chi fosse, lei rispose “Valerie Solanas!” – ovvero la donna che nel 1968 aveva sparato a Warhol all’ingresso della Factory – e lui le aprì. Ci volle una bella dose di coraggio e di sarcasmo, visto che Warhol sopravvisse per miracolo all’aggressione di Solanas. Ma Fran stessa sostiene che quello era un giorno in cui si sentiva particolarmente ironica!
Per Interview Magazine curava due rubriche: “The Best of The Worst” – che trattava di film terribili – e “I Cover The Waterfront” sulla vita a New York.
Ha sempre dichiarato che non provava troppa simpatia per Warhol e che questo sentimento era reciproco, ma Interview Magazine rappresentava ciò che le permetteva di conoscere persone artiste/i scrittori e scrittrici, intellettuali, musiciste/i. In quegli anni nacque la profonda amicizia con Toni Morrison, che le ha viste legate per 40 anni, fino alla morte di Toni, la quale usava dire di lei “ha sempre ragione, perché non è mai imparziale”. Adoro.
Ha sempre dichiarato che, piuttosto che leggere i giornali, preferisce sedere in un locale da sola ed ascoltare le persone che commentano le notizie: osservando queste dinamiche, ci si può facilmente accorgere che le persone non sono interessate alle notizie in generale, ma al gossip, ovvero a ciò che nelle notizie parla di loro. E commentano quel tipo di notizie.
Per fare questo esercizio, basta osservare le notizie che hanno maggiori visualizzazioni e commenti sui social, ma non è la stessa cosa, la vita è fuori da lì. Per questa ragione, per la sua passione verso l’ascolto delle conversazioni altrui, sostiene di non poter vivere in un Paese di cui non conosca perfettamente la lingua, ovvero in qualunque Paese in cui la lingua ufficiale non sia l’inglese.
Trattando la questione dell’iperconnessione, Fran riporta aneddoti ed osservazioni in cui è impossibile non riconoscere le nostre vite o parte di esse, e non fermarsi a riflettere su quanto di ciò che accade intorno a noi ci stiamo perdendo.
È una cosa incredibile perché ci sono milioni di persone [a New York] e l’unica persona che guarda dove vanno sono io.
Si può anche comprendere il motivo per cui non possiede uno smartphone o un pc: scrive utilizzando una matita ed un taccuino. Anche questo fa sentire meno sole me e le mie matite.
Il fatto che riesca a rispondere ad una semplice domanda aprendo almeno un’altra finestra di ragionamento e stimolo di riflessione, le da ai miei occhi la licenza di poter parlare di qualsiasi cosa al mondo, non importa che io condivida ciò che dice: è il modo in cui lo fa a renderla irresistibile! D’altronde, lei stessa non esprime le sue opinioni con l’intento di rappresentare qualcuno o uno specifico movimento.
L’odio che spesso le è stato riversato contro dopo aver trattato temi sensibili come quello slegato agli adolescenti – ammette di ricevere lettere piuttosto velenose – non è altro che l’espressione del disagio delle persone nel sentire parlare di sé, forse perché vedono rappresentata una realtà che non vogliono ammettere. In fondo è anche questo a muovere l’hate speech.
Non mi piacciono gli animali. Di nessun tipo. Non mi piace nemmeno l’idea degli animali. Gli animali non sono miei amici. Non sono benvenuti a casa mia. Non trovano spazio nel mio cuore. Non sono nella mia lista
Con questo approccio, Fran affronta la questione degli animali domestici e, in quanto amante degli animali che vive con un cane con cui dorme, che segue documentari sugli animali per trovare pace e conforto, mi sento chiamata in causa, perché descrive la maggior parte delle cose che faccio. Lo fa con sarcasmo, ed anche con una buona dose di fastidio, ma non sono così egocentrica da pensare che ce l’abbia con me o che io, Lilith, abbia ispirato il suo pensiero: semmai mi riconosco in un atteggiamento che è socialmente diffuso, ed in quanto tale oggetto di osservazione. Non condivido il suo pensiero in merito a questo tema, ma è il suo. Lei ritiene di avere ragione, io anche. Non è mica una politica che sta presentando un programma elettorale che prevede il divieto di detenere animali da compagnia! La preoccupazione per le opinioni che hanno l’aspirazione diventare fatti, la riservo a quegli spettacoli da cabaret di quart’ordine che sono diventate le campagne elettorali, soprattutto in Italia, soprattutto ora.
“A dispetto di quanto molti di voi potrebbero immaginare, la carriera letteraria non è priva di inconvenienti; in primis la sgradevole questione che, spesso, si sia davvero chiamati a sedersi e e scrivere. Si tratta di un’esigenza tipica della professione e risulta, in quanto tale, piuttosto molesta, poiché ricorda costantemente allo scrittore che non è, né sarà mai, come le altre persone”.
Sulla scrittura Fran Lebowitz interviene costantemente, ammettendo di essere una scrittrice che non scrive, perché è una persona pigra e scrivere richiede impegno. Non le piace fare cose difficili, e scrivere è una di queste. Dichiara di soffrire del blocco dello scrittore dal 1981, dopo aver iniziato a scrivere un romanzo che, appunto, resterebbe ad oggi incompiuto. Ma è una grande lettrice, che possiede migliaia di libri. Con il passare degli anni ha imparato a non leggere per forza, ovvero a non completare libri che non attirano la sua attenzione. Non butterebbe mai un libro, piuttosto butterebbe dalla finestra qualcuno. Lo posso ben comprendere.
Mentre scrivo, seguo una conversazione tra Fran Lebowitz e Bryan Viners, ed auguro lunga vita a questa straordinaria donna, che mi tiene compagnia e mi fa sentire non meno stronza, ma una stronza in buona compagnia.
La maggior parte dei suoi scritti sono stati raccolti in “Metropolitan Life” (1978) e “Social Studies” (1981), entrambi convogliati in “The Fran Lebowitz Reader”. Il suo blocco dello scrittore è stato messo in pausa in un solo caso: nel 1994 è stata pubblicata una storia per bambini/e dai 7 ai 12 anni “Mr. Chas e Lisa Sue Meet the Pandas” scritta da lei èd illustrata da Alfred A. Knopf.