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Blonde: un pò ci voleva, ma manca sempre qualcosa
30 Settembre 2022
Ho visto Blonde senza leggere prima alcuna recensione. Perché di solito tutto quello che leggo su Marilyn Monroe mi disturba: ancora oggi, a distanza di 60 anni dalla sua morte, Marilyn è narrata come icona di femminilità, bellezza, eleganza, ammiccamento, contrapposta a una specie di “moderna sciatteria” di tutte quelle donne – famose e non – che non indossano abiti strozzapancia, tacchi a spillo, volti impomatati e labbra a prova di bacio, accompagnando tutto con soave voce e sinuosi movimenti, a favore di pubblico. O sei Marylin o sei sciatta, non c’è la terza via. E comunque sei debole in entrambi i casi. Perciò, mi infastidisce leggere una qualsiasi notizia su Marilyn Monroe che non tenga conto di Norma Jeane. Nella piazza virtuale dei social, dove tutto è ammissibile, pullulano pratiche dimostrazioni di questo pensiero a dir poco imbarazzanti, che vedo condividere senza alcun timore di apparire seriamente ridicole/i: la foto di una elegante Marylin in posa – non se ne vedono molte altre di lei al naturale, mentre legge un libro o fa altro, pur esistendo! – affiancata da quella di una ragazza qualunque che indossa un paio d jeans strappati, una t-shirt, e magari un tatuaggio e due piercing. E quale sarà mai il testo che accompagna queste due immagini? Ma ovviamente “non ci sono più le donne di una volta!”. Chi pubblica solitamente sente il bisogno di integrare questa grande perla di sapere con un proprio contributo che va da “è proprio vero, le vere donne non esistono più” a “abbiamo perso di vista i veri VALORI”.
Ah…i valori, giusto….parliamone
Ma quali sono i valori che Marilyn Monroe ha così fortemente rappresentato, tanto da dover essere un punto di riferimento per le ragazze di tutti i tempi? Io non voglio chiederlo a queste persone, perché mi risponderebbero “la femminilità e l’eleganza”, e già il fatto che le considerino “valori” mi fa salire l’imprecazione delle grandi occasioni. Allora utilizzo tempo ed energia per poter poter parlare di Norma Jeane. Lo faccio attraverso chi mi ha aiutata a capire la storia di Norma Jeane, e a capire perchè riguarda me e il sistema oppressivo in cui vivo.
Nel 1986 Gloria Steinem pubblicò “Marilyn: Norma Jean”, un ritratto sensibile e provocatorio di Marilyn Monroe, attraverso il quale rivela la donna dietro il mito – la bambina Norma Jean – e le forze in America che l’hanno plasmata nella fantasia e nell’icona che non è mai morta. In una clip esclusiva girata per la serie di documentari American Masters, Gloria ha dichiarato di non avere mai interrotto la visione di un film a metà, ma di avere fatto una eccezione quando, per la prima volta, vide per la prima volta nel 1953 Gli uomini preferiscono le bionde. Era imbarazzata, perché vedeva in Marilyn tutto quello che lei non voleva essere da adolescente – vulnerabile, desiderosa di approvazione, una caricatura. Dopo la sua morte per overdose, Gloria iniziò a interrogarsi sul perché lei apparisse per tutto ciò che, evidentemente, non era nella sua vita reale. Certamente, si disse, perché quando ti pagano per essere un personaggio con certe caratteristiche, è difficile non esserlo, di certo non sarebbe stata pagata se fosse stata sé stessa. Gloria fa una riflessione che ha condizionato fortemente la mia visione del film Blonde:
“Ciò che il movimento delle donne ha fatto è consentire alle donne di diventare madri l’una dell’altra e di sostenere, modellare e sperare, lodarsi e amarsi abbastanza da poter iniziare a riparare il danno iniziale. Ci chiediamo, tutte noi, se non avremmo potuto salvare la vita di Marilyn”
Norma Jeane Mortenson Baker è stata una schiava, resa invisibile da un mondo dominato dagli uomini e da un pubblico che hanno condizionato la sua esistenza e abusato del suo corpo, della sua mente, dei suoi sogni di bambina, consumata fino alla morte, e ignorata anche dopo. Pur essendo stata una delle prime star del cinema a parlare degli abusi sessuali subiti durante l’infanzia, le reazioni del mondo intorno a lei e del pubblico sono state di assoluta indifferenza, affiancata da qualche critica per avere in qualche modo “disturbato” quell’immaginario di innocenza e purezza che aleggiava intorno alla sua storia.
Un mito non può essere violato, non si deve umanizzarlo, altrimenti che mito è?
Norma Jeane non esisteva, nonostante chiedesse aiuto e urlasse dolore, e non esiste neanche ora, ora che la sua vera storia è accessibile al mondo intero. Non esiste una tomba con il suo nome, esiste quella di Marilyn che è ancora oggetto di fantasie e di ispirazione. Io vorrei che tutte noi iniziassimo a parlare di Norma Jeane, che troppo presto ha perso la vita per colpa dello stesso sistema che vorrebbe riportarci indietro a quegli anni in cui le cicatrici del corpo e dell’anima venivano coperte da un bel trucco e iniezioni di farmaci apparentemente rivitalizzanti ma effettivamente mortali.
Vorrei che portassimo Norma Jeane nei nostri luoghi di incontro, nei nostri cerchi di donne, nelle nostre piazze, per poterle dire che non è sola, ma è parte di noi. Ma in realtà è quello che facciamo, riprendendoci lo spazio pubblico in cui parliamo dei nostri corpi, delle nostre emozioni, delle nostre paure, della nostra autodeterminazione, degli abusi, della nostra sessualità, della nostra salute. Ognuna di noi è una figlia di Norma Jean e grida forte la sua ribellione.
Blonde , film tratto dall’omonimo romanzo di Joyce Carol Oates, ci sbatte in faccia Norma Jeane, con tutto il suo dolore costante, in un vortice di immagini e suoni che producono angoscia, perché il film scorre esattamente come il pensiero di una mente angosciata e sopraffatta. Non c’è nulla di romantico nel rapporto con JFK, o di fiabesco nel modo in cui è diventata una star, in questo film che mescola continuamente storia e finzione attraverso l’uso irrequieto di suoni, colori ed immagini.
C’è una critica che mi sento di fare a questa esplorazione dell’idea di Marilyn Monroe: la scelta di non aver fatto emergere la donna donna tenace, politicamente colta, ironica, amante della conoscenza, capace di straordinarie performance, che ha anche fondato una sua società di produzione, la Marilyn Monroe Productions. Ecco, questo mi è mancato, e forse anche in questa produzione si è scelto di sfruttare l’immagine di una donna vittima e incapace di autodeterminarsi, in balia degli eventi e delle circostanze, perennemente fluttuante. Quindi, parlando di lei, pare si debba scegliere tra due narrazioni: da un lato la superficiale bionda che aspira unicamente ad essere sex symbol, fragile e delicata; dall’altro, la debole, disperata, incompresa vittima che non riesce a salvare la propria vita.
Ci sarebbe una terza via: ci sarebbe Norma che veste i panni di Marylin in pubblico, che cerca di affrontare i propri traumi anche attraverso l’amore per la cultura, dotata di una brillante mente ed imprenditrice di successo, consapevole del proprio vissuto e del mondo in cui viveva. Norma che, nonostante tutto, è vittima di violenza nell’arco di tutta la sua vita. Ma questa terza via sarebbe quella coraggiosa, che ci dice che non esistono donne predisposte a subire violenza per cultura, etnia, posizione sociale, forza di carattere – qualcuno mi spieghi la forza di carattere una volta per tutte – ma che la violenza tocca tutte le donne per il fatto di essere donne, per mano di una società che dice agli uomini che esistiamo in funzione loro e che non possiamo discostarci da questo ruolo
Ad ogni modo, solo dopo aver visto il film ho letto opinioni che parlano di misoginia, pornografia, disgusto, tristezza: la verità fa male, vero? E’ sempre meglio restare nell’indifferenza, dando un colpo di glitter a tutto, giusto? Che in fondo è come alzare il volume della televisione mentre il vicino massacra di botte la moglie per coprire fastidiosi rumori e poter fingere di non aver sentito nulla.
Goodbye Norma Jeane
Though I never knew you at all
You had the grace to hold yourself
While those around you crawled
They crawled out of the woodwork
And they whispered into your brain
They set you on the treadmill
And they made you change your name