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CHIUDI GLI OCCHI, E PRONUNCIA QUESTE PAROLE: NI UNA MUJER MENOS, NI UNA MUERTE MáS

Tempo di lettura: 6 minuti

Mi sono seduta alla scrivania, ho preso il mio taccuino e la matita come faccio sempre, per poter riassumere la storia del movimento Non Una di Meno e potervi accompagnare verso la manifestazione nazionale del 26 novembre a Roma.
Ni una mujer menos, ni una muerte más”. L’ho scritto. E ho sentito il bisogno di fermarmi come spesso mi accade di questi tempi. Rallentare, entrare nelle cose, nelle parole, inspirarle ed espirare le emozioni che portano. L’ho imparato negli anni, per superare quei momenti in cui sembra di dover fare qualsiasi cosa come se stessi perdendo il treno. Mi sono spostata dalla scrivania, e sono andata a sedermi davanti al fuoco acceso. Ho chiuso gli occhi, per fermare per un attimo un’immagine che troppo spesso ho messo in secondo piano rispetto ad una frase che è allo stesso momento semplice e struggente, che è diventata il nostro grido globale contro ogni violenza verso le donne. Ni una mujer menos, ni una muerte mas.
Mi sono fermata a pensare a una madre che mette tra le mani della figlia morta un foglio con questa poesia, che sua figlia stessa aveva scritto per una donna morta a Ciudad Juarez:

SANGRE NUESTRA
Sangre mía,
Sangue mio,
de alba,
di alba,
de luna partida,
di luna tagliata a metà
del silencio.
del silenzio.
de roca muerta,
della roccia morta,
de mujer en cama,
di donna in un letto,
saltando al vacío,
che salta nel vuoto,
Abierta a la locura.
Aperta alla pazzia.
Sangre clara y definida,
Sangue chiaro e nitido,
fértil y semilla,
fertile e seme,
Sangre incomprensible gira,
Sangue che si muove incomprensibile,
Sangre liberación de sí misma,
Sangue liberazione di se stesso,
Sangre río de mis cantos,
Sangue fiume dei miei canti,
Mar de mis abismos.
Mare dei miei abissi.
Sangre instante donde nazco adolorida,
Sangue istante nel quale nasco sofferente,
Nutrida de mi última presencia.
Nutrita dalla mia ultima presenza.

E’ il 12 gennaio 2011: quella figlia nella bara è Susana Chavez, e ha 36 anni quando qualcuno decide che la sua vita merita di finire perché lei ha scelto di dedicarla a combattere la violenza contro le donne fin da quando aveva 11 anni.
Sono pochi 11 anni per scegliere di diventare un’attivista? A cosa dovrebbe pensare una giovanissima ragazza di 11 anni?
Tutto è relativo: se quella ragazza vive in un luogo in cui ogni giorno almeno due donne vengono brutalmente uccise e gettate per le strade, o mai ritrovate, dopo essere state stuprate mentre vanno a lavorare, o quando escono per vivere la vita, scegliere di fare qualcosa vuol dire scegliere di voler vivere. C’è molta poca scelta, se vivi in quel luogo che porta tutto il peso della nascita di un termine, femminicidio, che è stato individuato proprio per definire un crimine che non è né più né meno di una mattanza delle donne unicamente perché donne. Si muore perché siamo donne. Susana è nata a Ciudad Juarez Chihuahua, dove ha sempre vissuto. Ha scelto di fare tutto quello che era in suo potere per poter combattere le ingiustizie verso le donne che sono alla base dei femminicidi. E’ diventata poetessa, insegnante, collaborava ai cortometraggi sulla violenza, ed è lei ad aver scritto per la prima volta quel grido che tutte noi portiamo nelle piazze e nei nostri cuori: “Ni una mujer menos, ni una muerte más”. Queste poche parole sono riuscite a muovere una marea di donne grande quanto il mondo, potente e inarrestabile, che non si arrende e che non ha paura di lottare. Neanche Susana aveva paura, e certamente sua madre lo sapeva, lo sanno le nostre madri, lo sanno le madri di ogni attivista, in alcuni luoghi del mondo questa mancanza di paura desta ben più di una preoccupazione.
E mi fermo a pensare al momento in cui quella madre ha dovuto seppellire una figlia che un sistema violento ad ogni livello ha voluto mettere a tacere brutalmente, solo e unicamente perché donna con l’aggravante della volontà di rivendicare la propria libertà di esistere.
Susana è stata uccisa, il suo corpo è stato trovato seminudo per strada. In testa aveva un sacchetto nero chiuso al collo con del nastro adesivo. La mano sinistra mozzata. Susana scriveva. E negli ultimi tempi scriveva di quanto si sentisse impotente di fronte alla violenza che caratterizzava ormai la quotidianità dei suoi luoghi di vita: 446 donne erano state uccise a Ciudad Juarez solo nel 2010.
Cinque sono i giorni che sua madre ha dovuto attendere per poter avere il suo corpo, squallide le menzogne sulla sua morte. Le autorità hanno trovato ogni possibile causa e movente, cercando di negare che la sua morte fosse legata al suo attivismo. Nessuno dei casi di femminicidio avvenuti a Chihuahua era stato risolto. Nessun colpevole. Nel caso di Susana, sono stati arrestati dei presunti colpevoli che hanno dato diverse versioni dei fatti, tutte avevano a che fare con qualcosa di simile a “se l’è andata a cercare”.
Amnesty International ha richiesto un’investigazione approfondita
La Commissione Nazionale dei Diritti Umani ha aperto un’inchiesta
Le donne di tutto il mondo hanno alzato le loro voci:

Chiudi gli occhi: Ni una mujer menos, ni una muerte más

I miei occhi sono rimasti chiusi per un bel po’, forse per poter ricacciare indietro qualche lacrima insieme a quella pressione al petto che riconosco molto bene come i sintomi di una rabbia che mi porto dentro, che non voglio rinnegare, che ho bisogno di rivendicare, e che non devo in alcun modo giustificare al mondo che ci vuole morte.
Questa è la storia del movimento femminista globale dei nostri tempi: la storia di Susana è quella di milioni di donne morte ammazzare unicamente perché donne.
Ni una menos è stato il grido con cui nel 2015 le donne argentine hanno dato vita al collettivo che ha riunito le diverse espressioni del femminismo e le diverse battaglie sui diritti delle donne. E’ il collettivo che si riconosce anche nelle Madri e Nonne di Plaza de Mayo, nelle donne rivoluzionarie che erano loro figlie, nei movimenti LGBTQI, in quelle che si sono organizzate in sindacati e nelle piqueteras, nelle migranti, indigene e afro-discendenti donne e nella lunga storia delle lotte per l’estensione dei diritti. E’ motto e movimento sociale, che nomina ogni dimensione della violenza contro le donne, legata anche alle disuguaglianze sociali. È senza paura che parla di violenza dello Stato, esercitata attraverso i sistemi sanitari, giudiziari, educativi, le narrazioni dei media, il lavoro. È una sorta di trasformazione del dolore del lutto in forza propulsiva e potere, libertà, crescita.

Nel 2016, con le stesse caratteristiche, rispondendo allo stesso bisogno di invadere le strade e le piazze con i nostri corpi, è nato il movimento NonUnadiMeno in Italia.
La lotta è diventata comune e senza confini. Ed è mossa da quel dolore che si tramuta in rabbia e che abbiamo tutto il diritto di rivendicare, è resistenza che abbiamo il dovere di praticare. Sono percorsi di costruzione che partono da lontano, che attraversano la storia e che portiamo con noi a ogni passo, in ogni azione, in ogni relazione.

A 11 anni non è troppo presto per essere attiviste, tutto è relativo. Se sei una donna.
A 11 anni non è presto per riconoscere che si può essere giudicate, molestate, stuprate, derise, emarginate, silenziate. Se sei una donna.
A 11 anni non è presto per capire che non vale nulla la solidarietà del mondo intero alle donne, se il giorno dopo torniamo ad essere puttane se non sposate o separate, immature se non facciamo figli, assassine se scegliamo di abortire, arroganti se assertive, provocatrici se stuprate, colpevoli se ammazzate.
A 11 anni non è presto per capire il significato di “femminicidio” e conoscere Diana Russell che, usandolo per la prima volta, ha sbattuto in faccia al mondo che noi oggi finiamo morte ammazzate per mano del patriarcato e del sessismo (tanto cari anche a chi ci governa)
A 11 anni non è presto per conoscere la sorellanza e sentirsi parte di quella marea femminista che diventa porto sicuro contro ogni violenza.

Questo fine settimana, ovunque nel mondo, saremo marea. In Italia, vediamoci a Roma, sabato 26 novembre. Ci riconosceremo, anche se non ci conosciamo, e sapremo esattamente cosa fare.

Chiudi gli occhi: Ni una mujer menos, ni una muerte más

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