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MA DAVVERO LA CELEBRAZIONE DELL’AUTOCELEBRAZIONE È UN PROBLEMA?

Tempo di lettura: 7 minuti

Non sono una fan di Chiara Ferragni, se esserlo vuol dire riconoscersi nel suo stile di vita. Sono ben consapevole che Chiara Ferragni, quando parla di violenza contro le donne, di stereotipi, di sessismo, di patriarcato, non lo fa analizzando fino in fondo la cause dell’oppressione.
Io vedo in Chiara Ferragni una donna che ha scelto di fare la sua parte per poter contribuire alla presa di coscienza di una parte della nostra realtà, stimolando una riflessione. Lo fa raggiungendo i suoi 28,5 milioni di follower su Instagram e i più di 6 milioni su TikTok.
Come è sempre accaduto nella storia, il coinvolgimento delle donne ricche e famose è stato in più occasioni un mezzo per poter sostenere il movimento e per mettere al centro dell’attenzione specifiche priorità. Vogliamo anche parlare delle alleanze politiche e la solidarietà strumentale di quelle forze politiche che si servono al bancone dell’attivismo giusto per le campagne elettorali?
Chiara Ferragni ha preso posizione in diverse occasioni: parlando di diritto all’aborto, e rendendo pubblica la sua scelta di devolvere il cachet per la sua partecipazione a Sanremo ai centri antiviolenza della rete D.i.Re.
A chi si rivolge, con il suo apparentemente poco studiato linguaggio?
Io do per scontato che non si stia rivolgendo a me o a migliaia di altre attiviste, non immagino che voglia darci una lezione o essere la nostra guida verso l’autocoscienza. Quindi, parto serena delle mie consapevolezze, e osservo ciò che accade intorno a me, cercando di carpirne i significati.
Il linguaggio semplice e diretto, parla ad un target di giovani ragazze e ragazzi, che – sorpresa – vivono le loro vite attraverso i social, e che sono anche la sua miniera d’oro.

Senza alcuna difficoltà, e partendo da queste scontate premesse, ammetto di aver apprezzato il suo monologo al Festival  di Sanremo.
Al Festival di Sanremo, non alla Commissione ONU sulla Condizione delle Donne. Stamattina ho letto critiche più o meno complesse – escludo a priori tutta la categoria delle critiche da bar dello sport – sul fatto che Chiara Ferragni abbia fatto del femminismo un business, che dall’alto della suo condizione di privilegio non può di certo considerarsi femminista, dal momento che quello neoliberista è il suo stile di vita. Qualcuno/a aggiunge anche che il femminismo social fa cagare. Tutto questo lo scrivono dai loro profili social, attraverso i quali veicolano le proprie posizioni, non ammettendo di essere messe/i in discussione.

Parto da due presupposti: il primo prevede che per esprimere una propria opinione, non è necessario sminuire quelle altrui. Il secondo azzarda l’idea secondo cui ogni opinione messa in condivisione è un ottimo punto di partenza per poter riflettere, mettersi in discussione, condividere significati e costruire alleanze. Mi fanno sorridere i toni di alcune critiche che non prevedono contraddittorio, perché si rischia di vedersi cucita addosso la lettera scarlatta di chi ha tradito il femminismo. Non è un pò esagerato?
Forse, se non siamo in grado di discutere, abbiamo qualcosa di ben più serio di cui occuparci prima di parlare di Chiara Ferragni. E per discutere occorre focalizzare il tema, senza andare a finire chissà dove.

Tornando al monologo della discordia, si è trattato della lettura di una lettera a sé stessa bambina: un’auto celebrazione, un abbraccio che lei ha dato a sé stessa. Che si tratti di una performance, visto che siamo a Sanremo, non ce lo dobbiamo dire vero? L’autocelebrazione non è egocentrismo, perché non esclude il riconoscimento delle altre persone, e forse questo ce lo dobbiamo dire.
Quello di Chiara Ferragni è stato percepito, da più parti, come l’atto di autocelebrazione di stampo neoliberista che parla alla società della perenne prestazione e dell’estremo sacrificio per raggiungere il massimo.
Quel che penso rispetto alla società della performance l’ho già scritto in cura di che?! e non potrei mai ricredermi sul profondo bisogno che abbiamo tutte e tutti di abbandonare quel modello per poterci riprendere la giusta lentezza e vivere in armonia.
Ma Chiara Ferragni ha usato un approccio, per parlare di qualcosa, a una generazione che in questo modello neoliberista è inevitabilmente immersa fino al collo. Vogliamo fingere che non sia vero?
E’ una donna decisamente privilegiata, e anche il privilegio è un aspetto delle nostre vite su cui dovremmo riflettere, ma non mi aspetto che avvenga a Sanremo e che lo faccia Chiara Ferragni. Non ero partita con questa aspettativa prima di ascoltarla.

Quindi, avviando la funzione “discernimento”, sono in grado di poter dire, con quasi totale certezza, che riesco a rammentare cosa rappresenti Chiara Ferragni per me e cosa rappresenti per un/una ragazzo/a tra i 10 e i 15 anni.
Dal mio punto di osservazione, trovo disturbante questa critica dell’autocelebrazione, come fosse un tabù, una forma di esibizionismo e di disdicevole ostentazione. La trovo disturbante quasi quanto la prepotenza, la maleducazione, l’aggressività di chi invece celebra sé stessa/o attraverso la svalorizzazione altrui. Ma forse questa seconda forma di autocelebrazione è quella alla quale siamo disgraziatamente abituate/i.
L’autocelebrazione non è altro che un modo attraverso cui ci si prende cura di sé, si accoglie la propria vulnerabilità e si mette in condivisione il proprio vissuto perché possa essere parte di una relazione con il mondo.
Per tutta la vita non sono stata in grado di autocelebrarmi, trovandomi a coltivare la convinzione di non essere abbastanza, pensando pure che non autocelebrarsi fosse un punto di forza: che cazzata. Per compensare questa condizione, mi sono invece eccessivamente protesa verso le vite altrui attraverso attenzione, ascolto, disponibilità h24 7 giorni su 7, più attiva del pronto soccors. Finchè non ho capito che la reciprocità non faceva parte del pacchetto emergenza e cura. Oggi, che mi trovo a pagarne le conseguenze, l’autocelebrazione è diventata una pratica meditativa quasi quotidiana, che mi garantisce di poter guardare avanti anche se a piccoli passi.
Se mi fossi presa cura di me, mettendomi al centro di tutto, avrei sperimentato certamente molta meno frustrazione. Non è facile per me, da donna adulta ben salda nel mio pensiero femminista e consapevole della complessità della nostra storia, muovermi in alcuni contesti in cui sembra di ledere la maestà di qualcun* se si esprimono le proprie perplessità, figuriamoci come dovrebbe sentirsi una ragazzina di fronte alle critiche di un mondo adulto che ancora deve decifrare, verso un altro mondo adulto che le ha detto qualcosa che non solo capisce, ma che può iniziare a mettere in pratica da subito.

Mi fermo a pensare a me stessa tra i dieci e i tredici anni mentre, durante il Festival di Sanremo, ascolto un personaggio famoso che ammiro parlare di qualcosa che mi riguarda, attraverso un linguaggio che non richiede l’intromissione di qualcuno che ne faciliti la comprensione. Parla di me e delle mie insicurezze, delle difficoltà che mi trovo a fronteggiare ogni giorno, di un mondo adulto che vorrei capire per farmi un’idea di dove sto andando. Parla di me attraverso sé,e io posso riconoscermi in parte o del tutto in quelle parole.

Forse non resterà niente di tutto questo, o forse una semplice frase potrebbe essere quel campanello che un giorno risuonerà nella mia testa in un preciso momento:

Essere una donna non è un limite, dillo alle tue amiche e lottate insieme ogni giorno per cambiare le cose.

E’ questo che leggo nella lettera che Chiara adulta ha scritto a Chiara bambina: lo ha fatto partendo da sé, per caso abbiamo dimenticato che fa parte della nostra pratica? Io credo che a volte sia utile ricordarcelo, e se ce lo ricorda Chiara Ferragni, pazienza: sarà un punto di partenza per nuova autocritica, senza attendere di poter criticare qualcun altra.
Nel frattempo, io penso che molte ragazze oggi abbiano avuto qualcosa su cui riflettere, che domani potrebbe diventare il punto di partenza per il proprio impegno da attiviste. Perché ognuna di noi è diventata attivista a partire da qualcosa che l’ha toccata direttamente, talvolta piccoli e apparentemente insignificanti dettagli. Perché insignificanti lo sono agli occhi del mondo fuori, ma il nostro mondo interiore è quello che conta. Un paio di anni fa ho scritto una lettera a me stessa, è una esperienza molto toccante, sembra quasi di prendersi per mano con quella bambina. Ed è così, solo che capita di guardare troppo in avanti e di lasciare andare quella mano.

Non parliamo poi delle critiche agli abiti indossati da Ferragni, che rasentano seriamente il ridicolo: Chiara Ferragni, che ha fatto un business della propria immagine e del proprio nome, ha indossato, dopo lo stola iniziale con la scritta “pensati libera”, un abito sul quale erano riportati commenti di alcune/i suoi e sue -sigh – haters. Ha indossato e reso pubblico l’odio social, ovvero un aspetto della vita social che riguarda tutti e tutte noi, e che espone ragazzi e ragazze a conseguenze che hanno risvolti drammatici. A meno che non pensiamo di poter ribaltare il mondo eliminando quella parte di progresso che ha portato i social networks, le chat, e l’iperconnessione in generale nelle nostre vite, occorre anche in questo caso costruire delle alleanze che possano dare visibilità e supportare lo sforzo che quotidianamente facciamo per fare prevenzione e ridurre i danni delle varie forme di violenza che purtroppo si evolvono con l’evolversi delle tecnologie.
Ferragni utilizza l’ingaggio per Sanremo, dal cachet al ruolo di co-conduttrice, fino agli abiti indossati, esattamente come fa chiunque venga ingaggiato a Sanremo: mettendo in piedi un performance studiata nei dettagli, che provochi reazione e faccia notizia. Ha avuto la sensibilità – e la grande intuizione imprenditoriale – di portare sul palco le gravi lacune di uno Stato e di una cultura che nega alle donne il diritto di esistere e quello di proteggersi. Certo, lo ha fatto quando le giovanissime e i giovanissimi erano a dormire perché troppo tardi – ma lo avranno visto oggi – e il problema di cui dovremmo discutere è anche questo: la quantità di testosterone ritenuta necessaria perché Sanremo sia Sanremo, tra battutine e paternalismo, fino alla performance machista di Zlatan Ibrahimovic del 2021 (ve la ricordate, vero?).

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1 commenti su “MA DAVVERO LA CELEBRAZIONE DELL’AUTOCELEBRAZIONE È UN PROBLEMA?

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