Self care, Write here, write now

SIATE RIBELLI, ACCOGLIETE LA VULNERABILITA’

Tempo di lettura: 8 minuti

Mentre osservo un mondo in cui si cerca di classificare e dominare le emozioni, di suddividerle tra buone e cattive, belle e brutte, un mondo in cui l’eroe o l’eroina dei nostri tempi sono coloro che fanno impresa, “si fanno da sol*” sfruttando chiunque capiti a tiro con la scusa della gavetta sottopagata “che ti fa le ossa” – mantra ossessivo entrato nel vocabolario quotidiano, a testimonianza della deriva culturale che stiamo vivendo – mi accorgo di essere molto fortunata di poter sperimentare la vita ad ogni passo, nutrendola di saperi che germogliano in continuazione, in ogni parte del mondo, e sperimentare la vita vuol dire anche sperimentare chi siamo attraverso le nostre emozioni. Lo faccio a partire dalla cura delle relazioni, dal perseguimento di obiettivi collettivi, dalla voglia di stare fuori da quel cerchio di ragionamento stereotipati, sbrigativi, giudicanti, di chi sta in guerra con sé e con il mondo.
Poter guardare il mondo attraverso l’ascolto delle nostre emozioni non può che renderci migliori. Assorbire discorsi inutili e vuoti, pur cercando di vivere certi momenti con scarsa partecipazione, mi provoca delle ferite nell’anima, che cerco di medicare attraverso la cura di relazioni costruttive, stimolanti, leggendo o passeggiando per osservare quella natura intorno a me che non può che riportarmi a guardare avanti verso la trasformazione e l’evoluzione. Pensare al ciclo di vita dell’acqua, mi aiuta a ri-centrare le mie priorità, i miei obiettivi. Come l’acqua che solitaria scende dalla montagna e diviene ruscello cerco di scorrere, godendo del paesaggio che si trasforma intorno a me: scorro per nutrire la natura che di me ha bisogno, e man mano cresco fino a diventare torrente, allargando i miei orizzonti e scoprendo nuova vita…fino a finire nel mare (nell’oceano, nel fiume, nel lago) dove incontro altre forme di vita, e mi muovo insieme a loro per generare ancora trasformazione.

L’acqua che gocciola consuma una pietra. Ricordatelo, bambina mia. Ricordati che per metà tu sei acqua. Se non puoi superare un ostacolo, giragli intorno. Come fa l’acqua.
-Margaret Atwood, “Il canto di Penelope”

Ripercorrere l’evoluzione della mia vita ed osservarla qui ed ora, è come seguire il percorso dell’acqua: è la mia medicina per superare i momenti di sconforto di sconfitta, per fronteggiare demoni e pericoli, per rendermi conto che chi mi ha ferita, usata, maltrattata, ignorata, fa parte di ciò che ho incontrato mentre scorrevo lungo il mio percorso: sono quelle forme di vita parassite che lì erano e lì sono. Non le posso incontrare nel mare, non ci arriveranno mai.
Fare i conti con la propria vulnerabilità è complicato, ma non dobbiamo per forza renderla nostra nemica. Se ci fermiamo, o ci sentiamo a terra, non dobbiamo per forza fare uno scatto felino per riprendere la corsa, perché non sarebbe la nostra corsa. Non dobbiamo partecipare ad una gara, dove sta scritto? Ah si, scusate…è vero: sta scritto! Nel senso che orma viviamo nella continua sollecitazione di una reazione, immers* in una realtà fatta di aforismi e citazioni che fanno riferimento a lotte, battaglie, forza, resistenza, disciplina, tanto da farci provare vergogna per essere tanto vulnerabili.
La storia di Ilaria certamente può supportare la mia riflessione: dopo avere dedicato buona parte della vita al lavoro in un particolare contesto di attivismo, si trova a fare i conti con delle persone che mal sopportano le sue critiche ad un sistema be poco trasparente. Pur avendo goduto fino a quel momento della stima e del riconoscimento per il suo lavoro, Ilaria si trova poco a poco ad essere mobbizzata dalle persone con cui aveva costruito un ottimo rapporto di lavoro e relazioni in cui credeva. Ogni giorno lavorativo diviene caratterizzato da esclusione, boicottaggio, attacco frontale ed immotivato, isolamento, vere e proprie dinamiche di bullismo. Man mano che il tempo trascorre, ogni giorno lavorativo inizia con una crisi di panico e si chiude con una crisi di panico. Ilaria si ammala, di una malattia che porterà dentro per il resto della sua vita. Ci sono giorni in cui non può lavorare, e lei che non aveva mai fatto un giorno di malattia si trova a chiedere comprensione. Che non trova, e quello è il momento in cui quel mondo intorno a lei affonda la lama. Ilaria inizia a trovarsi in una situazione surreale, in cui non riconosce più nessuno, e si vede trattata come una criminale, una persona malvagia, una persona bugiarda. Lei, che ha trascorso ore e giorni ad accogliere tutto ciò che di bello e di brutto accadeva in quel luogo, perché fosse possibile creare un ambiente di lavoro sano; lei, che ha lavorato instancabilmente ben otre il dovuto, per sé e per gli altri; lei, che ha difeso il lavoro di chiunque contro le stesse persone che ora hanno armato questa guerra da cui ora lei non uscirà viva. Sceglie di non poter passare troppo altro tempo in quel luogo. Il suo corpo le sta dicendo che è ora di fermarsi, prima che sia troppo tardi. Glielo dice in modo molto chiaro la sera in cui, uscendo dal lavoro, Ilaria è talmente esausta da buttarsi in mezzo alla strada mentre sta arrivando un auto. Solo la prontezza dell’autista la salva, ed anche il suo scendere per chiederle “Tutto bene? Ho visto che era proprio su un altro pianeta”. Più che su un altro pianeta, Ilaria è chiusa dentro quella gabbia che altro non le mostra se non l’ingiustizia che sta vivendo. E non ce la fa a gridare, non ce la fa a pensare, non riesce neanche più a difendersi. Ilaria sceglie di lasciare che le cose vadano così, perché ciò che aspettano è la fine molto prossima del suo contratto. Prima di arrivare a quel giorno che per Ilaria rappresenta allo stesso tempo dolore e liberazione, le emozioni che si trova ad attraversare vanno dalla rabbia incontrollata alla serena consapevolezza di non poter costruire nulla di buono lì dentro, perché si trova ad avere a che fare con una continua manipolazione di cui lei è ora bersaglio, ma poi lo sarà qualcun altr*. E questo avviene nei contesti lavorativi privi di attenzione verso il benessere individuale e collettivo, ovvero nella maggior parte di essi. Non può fare nulla di più di ciò che negli anni ha fatto, di fronte a persone che ormai non riconosce più ma forse perché si era illusa di conoscerle. Può scegliere di mettere in salvo la sua vita, la sua salute, la sua felicità.
Ilaria si trova a fare i conti con il mondo delle persone che perdono un lavoro o subiscono una ingiustizia: molte pacche sulle spalle e grandi attestazioni di stima, di comprensione dell’ingiustizia subita. Il mobbing lascia cicatrici profonde e ferite che non sempre guariscono con il tempo. Avere cura di sé, delle proprie relazioni e sapersi mettere in ascolto è fondamentale per poter curare quelle ferite. Occorre prendersi il tempo necessario, non provare vergogna per le proprie emozioni, perché esse sono ciò che guida la nostra esistenza. A volte è necessario prendersi una pausa da ciò che non ci piace e che risuona male per il nostro percorso. Ilaria, facilitata dal fatto che molte persone la trattano come una lebbrosa da un lato perché ha osato mettere in discussione certo ambiente, dall’altro perché non hanno voglia di stare a sentire la sua storia che potrebbe essere pure inventata -la violenza, sa bene Ilaria, è sempre sottoposta a giudizio si…ma si giudica chi la subisce – e perchè non può raccontarla fino in fondo, sceglie di sfruttare queste dinamiche per prendersi una pausa dalle connessioni con le persone intorno a sé.
Contemporaneamente, nutre sé stessa, le sue emozioni, i suoi interessi. Piano piano si allontana da quel luogo che da accogliente casa è diventato luogo di tortura, ripercorre la sua intera vita: doveva passare da lì per poter sperimentare una nuova evoluzione della sua vita, del suo stare al mondo ed in connessione. Questo non coincide con il giustificare la violenza, la menzogna, la lucida e fredda volontà di lasciarla senza un lavoro ed isolarla. Anche queste sono sue emozioni, di cui è consapevole e che la guidano nella lettura del mondo e della propria vita. Non prova vergogna per la sua rabbia, non sente di dover giustificare ogni singola emozione che prova o di doversi sforzare per eliminarne alcune. Non ha difficoltà, oggi, a dire che non prova empatia verso queste persone, né nel bene, né nel male.

Ilaria ha attraversato un inferno che l’ha portata anche a desiderare la morte, e tutto ciò è avvenuto perché ha pensato troppo a lungo di dover resistere e combattere contro una violenza che altre persone avevano scelto di usare contro di lei. Perchè le parole d’ordine che risuonano intorno a noi nelle difficoltà sono:
• Resistere e combattere, perché abbassare la guardia voleva dire non essere abbastanza forte, meritevole di questa vita.
• Il successo, la soddisfazione, gli obiettivi, si raggiungono solo se metti da parte le emozioni che ti fermano.
• Denti stretti, spalle dritte e passo sicuro: queste le chiavi per una vita di successo.
• Se ti picchiano, tu picchia due volte, se ti inducono a mollare, tu non farlo. Se lo fai, vergogna.

Ilaria oggi sa che fermarsi per un attimo a volte fa la differenza tra la vita e la morte. E sa anche che una storia si può raccontare in tanti modi.

Questa che sarebbe una storia ben più lunga ed articolata, è un piccolo strumento per farvi comprendere quanto sia importante non nascondere la nostra vulnerabilità, il nostro sentire, per paura di essere giudicat*. E’ un atto di ribellione, un vero e proprio atto di ribellione verso quel mascheramento continuo che dobbiamo applicare alle emozioni per non esporci troppo – alle critiche, alle persone – rischiando di lasciare coperta la nostra vulnerabilità.
E’ azione di self care, perché ci aiuta ad eliminare tutti gli effetti collaterali che possono derivare dal soffocamento delle emozioni, sul piano relazionale, fisico, psichico.

What else? Ah si: esponiamoci alla meraviglia, ed avremo meno vite altrui di cui discutere. Io ho provato meraviglia quando un bel giorno, mentre scrivevo proprio questo pezzo, un amico mi ha mandato il link ad una Ted Conference tenuta da Brenè Brown sul potere della vulnerabilità, scrivendomi che aveva la sensazione che potesse interessarmi, e che lui aveva trovato molto utile leggere i suoi libri. L’ho seguita e sono andata a cercarmi anche i suoi libri, e mi sono detta “dai, allora non sto scrivendo cazzate, il mio sentire non è solo mio” – tenere a stecchetto la mia autostima è la mia principale attività, partecipo alle olimpiadi di scarsa autostima con una certa perseveranza – ed ecco che avere delle relazioni umane empatiche è il fulcro della vita.
Il discorso è sempre lo stesso: le persone sensibili devono stare vicine.le persone sensibili devono stare vicine.

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