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IL MALLEUS MALEFICARUM DEI NOSTRI GIORNI
27 Gennaio 2023
“Sebbene sia stato il Diavolo a indurre Eva al peccato, fu Eva a sedurre Adamo. E siccome il peccato di Eva non ci avrebbe portato alla morte dell’anima e del corpo se non fosse seguita la colpa di Adamo, cui questi fu indotto da Eva e non dal Diavolo, perciò la donna è più amara della morte”.
Questa affermazione, che può essere tranquillamente inserita nella raccolta delle più famose supercazzole della storia, è tratta dal Malleus Maleficarum, il più celebre manuale per inquisitori pubblicato nel 1487 e scritto dal frate domenicano Heinrich Kramer con la collaborazione del confratello Jacob Sprenger. E’ una raccolta di istruzioni su come riconoscere una strega, come processarla, come metterla a morte, dal momento che le donne, con i loro comportamenti lascivi, erano portatrici disgrazia, carestie, morti, problemi di salute, disabilità, aborti. Nella società dell’epoca, i frati erano quelli a cui era permesso studiare, figuriamoci quale fosse la condizione del resto della popolazione che non aveva accesso all’istruzione. Gli esperti di stregoneria, inutile dirlo, erano sempre uomini, che invitavano la popolazione a segnalare le persone sospette. La storia ci restituisce che le donne furono le maggiori sospettate, processate, uccise. Ovviamente, partendo dalle affermazioni con cui ho aperto, un uomo poteva soltanto essere stato indotto da una donna alla stregoneria, non certamente dal Diavolo stesso.
Sole, vedove, anziane, lesbiche, prostitute, levatrici, o donne dotate di particolare doti di cura conoscitrici delle erbe che spesso aiutavano altre persone, ma anche donne adultere, oppure orfane, o che avevano reagito a uno stupro: questo era per lo più l’identikit delle sospettate. Poteva accadere, ad esempio, che non ricevessero il giusto compenso dopo un servigio prestato e che manifestassero la loro rabbia per questo. Era sufficiente che che un malato non guarisse, che un albero morisse, che avvenissero eventi negativi come una carestia – eventi piuttosto ricorrenti – perché i loro lamenti venissero riportati come formule pronunciate per lanciare malefici.
Creando un clima di paura, gli inquisitori – ovvero gli “esperti” di stregoneria – ottenevano segnalazioni di sospette nemiche, attraverso cui il Diavolo si manifestava sulla Terra.
Fare leva sull’immaginario attraverso l’invenzione di riti, simboli, formule magiche, rese la caccia alle streghe una pratica che raggiunse livelli di violenza oltre ogni immaginazione e che mise al rogo circa sessanta mila donne solo in Europa.
In un’epoca in cui anche le conoscenze in campo medico erano assolutamente inaccessibili per la popolazione, anche quelle che oggi sono conosciuti come tipici disturbi del sonno come le paralisi notturne e i bruschi risvegli, o le morti per soffocamento, venivano addotti al passaggio delle streghe che di giorno svolgevano normali vite mentre di notte si introducevano nelle abitazioni per portare morte e sortilegi.
Che le donne siano state le principali vittime di questa persecuzione lo dice lo stesso titolo dell’infame manuale: Malleus Maleficarum viene dal latino ed è letteralmente “il Martello delle Malefiche”. Una rappresentazione di una delirio di controllo, sessuale, religioso, della paura delle donne che ha caratterizzato ogni epoca, suddivisa in tre parti.
La prima tratta della natura della stregoneria: le donne, in quanto soggetti deboli e inferiori intellettualmente, sarebbero predisposte a cedere alla tentazioni del Diavolo. Gli autori arrivano a sostenere che la parola “femmina” derivivi da fe+minus, ovvero “fede minore”.
La seconda parte approfondisce i comportamenti delle streghe e i modi per arginarli.
Infine, la terza parte tratta le istruzioni per la cattura, il processo, la prigionia, l’eliminazione definitiva delle streghe. Le testimonianze, ovvero i pettegolezzi – dal momento che nessuno poteva testimoniare qualcosa che non esisteva – ricoprivano un ruolo molto importante nel processo. Quelli che costituivano dei comportamenti probabilmente non conformi alle norme sociali dell’epoca venivano trasformati in pericolosi rituali malefici; le donne che trascorrevano il tempo insieme fuori dal controllo sociale, erano streghe che si riunivano nei Sabba per unirsi ai demoni attraverso riti orgiastici. Le persone accusavano per invidia, ignoranza, malizia, ma tutto ciò non era preso in considerazione, anzi a essere sospettate di complicità erano le persone che si esprimevano in difesa delle donne accusate.
I giudici, in quanto rappresentanti di Dio, erano – manco a dirlo – immuni dal subire i poteri delle streghe. Il manuale forniva anche le tecniche di tortura per ottenere le confessioni. Chi di noi non ha visitato, almeno una volta nella vita, una mostra sugli strumenti di tortura usati durante il periodo dell’Inquisizione? Si trattava della legittimazione di violenze attraverso strumenti che il potere maschile aveva istituzionalizzato per cancellare le vite delle donne che non assecondavano ruoli e norme rigidamente imposti. La parola di queste donne, di fronte ai giudici, non contava. Gli infami pervertiti tenevano sotto strettissima sorveglianza le donne imprigionate, per evitare che si suicidassero per non dover subire ancora torture e finire bruciate vive.
Per tenere i popoli a freno, di nemici bisogna sempre inventarne, e dipingerli in modo che suscitino paura e ripugnanza – Umberto Ecco-
L’invenzione della stregoneria, della caccia alle streghe, era una forma di controllo per arginare ribellioni di masse sempre più impoverite, decimate dalle carestie, a tutela del controllo economico e politico delle classi più agiate e dell’autorità della Chiesa.La superstizione dilagante rendeva tutto molto semplice.
Se il termine femminicidio sta a indicare “qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico e psicologico, fino alla schiavitù e alla morte”, il Malleus Maleficarum è il manuale con cui gli uomini hanno secoli fa tradotto in pratica il modo in cui farlo, solleticando i più bassi istinti dell’essere umano.
Quegli uomini sono ancora tra noi, sono quelli che parlano di inesistenti ideologie gender, per creare panico sociale e morale, gettare delle ombre sulla difesa del diritto all’autodeterminazione, scatenando reazioni di odio e violenza come reazione a quelle libertà che vengono dipinte come un attacco alla tradizione della famiglia, alla libertà religiosa, al matrimonio tradizionale, a un ordine naturale che solo a nominarlo mi fa venire l’orticaria. Di pericolosa teoria gender ne parlava Papa Ratzinger, ma ne parla anche Papa Francesco – piccolo promemoria per chi si muove a giorni alterni tra la difesa dei diritti civili e le udienze Papali…non sono io che non mi fido di voi, siete voi che rendete tutto complicato.
Sono ancora tra noi, e parlano di “lobby femministe o LGBTQ+” che esisterebbero al solo scopo di mettere a rischio i valori di uno stato. Parlano di libertà di uccidere innocenti creature anziché di diritto all’aborto, e di libertà di opinione anziché di sessismo e violenza omotransfobica . E lo fanno legittimati da organizzazioni che si estendono a livello mondiale, lo fanno nei Tribunali, attraverso le istituzioni, nello spazio pubblico. Rinforzando i discorsi di odio, le violenze, la caccia alle streghe. Non hanno timore di parlare di streghe e stregoneria ancora oggi, approfittando certamente dell’ignoranza di una fetta di popolazione che purtroppo non va al di là del sensazionalismo, e che non si sente offesa da certi grotteschi tentativi di propaganda.
Spulciando la storia, è impossibile non trovare analogie: basta farlo soffermandoci sulle nostre vite, per renderci conto che nello slogan “siamo le nipoti delle streghe che non avete bruciato” è contenuta tutta la casualità del nostro esistere qui e ora.
Quella forma di controllo e oppressione esiste ancora così come la complicità che la rafforza per spirito di conservazione del potere. Una complicità su cui dobbiamo interrogarci, e che non riguarda soltanto le donne che scelgono di abbracciare palesemente la cultura patriarcale e sessista. Riguarda tutte noi, ogni giorno, in ogni nostra azione. Non è facile liberarsene, ma occorre farlo.
Quando parliamo di donne che provocano le violenze che subiscono, siamo complici di quella caccia alle streghe;
quando mettiamo a tacere le donne che lamentano un mancato riconoscimento del proprio lavoro e del proprio impegno, siamo complici di quella caccia alle streghe;
quando pensiamo di poter giudicare e controllare la salute riproduttiva e sessuale di altre donne, siamo complici di quella caccia alle streghe;
quando parliamo ruoli, siamo complici di quella caccia alle streghe;
quando giudichiamo una donna in base alla sua fisicità, a ciò che indossa o non indossa, al numero di uomini o di donne con cui fa sesso, siamo complici di quella caccia alle streghe;
quando parliamo delle altre anziché parlare con le altre, siamo complici di quella caccia alle streghe;
quando giudichiamo una donna per non essere madre, siamo complici di quella caccia alle streghe;
quando giudichiamo una donna per il suo modo di essere madre, siamo complici di quella caccia alle streghe;
quando nelle piazze gridiamo al rispetto delle differenze, e nel privato mobbizziamo altre donne, siamo complici di quella caccia alle streghe.
Lo siamo in questi casi e in ogni altro in cui ci erigiamo a giudici e controllori/e della vita e della moralità altrui, rinforzando quella stessa cultura patriarcale e sessista che ha costruito gli strumenti di tortura che vediamo nelle mostre e nei documentari. Gli strumenti sono cambiati, certamente meno visibili, ma sempre in funzione.
Migliaia di donne sono finite sul rogo a causa di questa complicità che ha legittimato quel potere ecclesiastico e temporale.
Dobbiamo renderci consapevoli di quanto possiamo rischiare di riprodurre le stesse dinamiche di violenza che combattiamo. Ina varie fasi della vita mi sono imbattuta in dinamiche fatte di forme di aggressività più o meno represse, manifestazioni di potere, silenzi e diffamazioni, che rinforzano sempre di più la mia convinzione che , se continuiamo a correre in avanti senza lavorare sulle nostre relazioni ripercorrendo la nostra storia più antica, non possiamo dire di combattere il patriarcato e il sessismo, perché rischiamo continuamente di rinforzarli.
Non possiamo cancellarli in alcun modo, se non siamo in grado di agire i nostri conflitti, di gestirne frontalmente le dinamiche. Molto spesso a rifiutare l’azione del conflitto sono proprio le persone che si trovano in pieno burn-out, perché talmente sopraffatte da non riuscire a riconoscerlo o perché pensano che farlo sarebbe un sintomo di vulnerabilità e che la vulnerabilità non vada accolta. Peccato, perché è proprio abbracciando la nostra vulnerabilità che possiamo sperimentare l’empatia. Ci ho messo mezza vita per rendermene conto, a un prezzo molto alto. Ma ora, quando mi trovo di fronte a queste dinamiche, mi rifugio nel self-care, lascio andare il bisogno di risolvere perché non voglio e non posso risolvere tutto. Posso solo scegliere di non essere complice, e anche di non dispensare fiducia a prescindere. Quindi torno indietro nella storia, faccio un ripassino e ricordo a me stessa che, se fossi vissuta quando i due infami frati pubblicavano il Malleus Maleficarum, sarei stata senza dubbio arsa viva, con la complicità di tante persone “per bene”. E sarei stata arsa viva insieme a tante altre donne, molte di quelle che ho incontrato e continuo a incontrare lungo il mio cammino.
È questo che intendiamo quando sosteniamo che “siamo tutte sopravvissute”: ogni tanto dovremmo fermarci per ricordarlo a noi stesse e al mondo che ci circonda e minimizza i nostri vissuti. E può accadere che lo ricordiamo con rabbia, ci sta tutta, è il minimo. Allora ci chiameranno streghe, perché hanno paura di noi.
Se non lo avete ancora fatto, vi consiglio di vere “Il Sabba”, fil diretto da Pablo Aguero. Nel finale, troverete la pura e semplice espressione della sorellanza. Spero che aiuti anche voi, come ha fatto con me, a riflettere sul suo unico e reale significato.