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“TACI, RAGAZZINA ARROGANTE!”
19 Marzo 2022
Questa è una delle espressioni più utilizzate, una delle tante prevedibili nel corso di dibattiti o conversazioni in cui ci si trova semplicemente ad assumere una posizione contraria – e spesso ragionevole – all’interlocutore/interlocutrice. E’ quella particolare forma di aggressività che ha come obiettivo la svalutazione di chi sta parlando, legata da una stretta parentela al mansplaining, allo “spiegone” patriarcale, alla femministologia, al paternalismo, insomma a tutti quegli atteggiamenti che hanno come obiettivo quello di rimetterci al nostro posto, nel ruolo di eterne bambine da educare, che devono necessariamente avere qualcuno che ci prenda per mano e ci mostri la strada da percorrere per vivere la vita a noi destinata. Se decidiamo di non farci prendere per mano, se mettiamo in discussione le lezioni di vita impartiteci dal mondo intero, se assumiamo una posizione con autorevolezza e competenza, a volte il mondo si arrabbia e deve per forza aggredire ogni nostra assurda pretesa di autodeterminazione, dobbiamo essere fermate, ad ogni costo. Se potessero, utilizzerebbero ago e filo per chiuderci la bocca.
Recentemente, l’apoteosi: si discuteva su facebook della mancata approvazione del disegno di legge Zan in Italia, grazie soprattutto alla campagna contraria delle destre radicali e conservatrici. Una persona a me sconosciuta, che ha purtroppo ammesso di essere una insegnante, dichiarava senza alcun imbarazzo di combattere l’introduzione della inesistente “teoria gender” nelle scuole: lei, paladina della famiglia tradizionale che difende i bambini da chi li vuole tutti gay! Le facevo notare che la “teoria gender” non eiste e che le destre radicali hanno combattuto il DDL in maniera scorretta ed a suon di fake news: dopo varie risposte imbarazzanti prive di qualsiasi contenuto, mi sono vista dare della “ragazzina arrogante” da questa persona, che non poteva accettare di essere messa in discussione, pur non avendo alcun argomento per mantenere un livello dignitoso di confronto. Ho rabbrividito all’idea di lei in un’aula scolastica: personalmente ho avuto insegnanti di questo calibro e non me ne stupisco, ma ho la fortuna di conoscerne altr* che mi fanno ben sperare per il futuro. Quando le ho fatto presente che, pur non avendo alcun peso la mia età in quella circostanza, avevo qualche anno più di lei, ha sostenuto che ciò non era possibile, visto che lei aveva una figlia ed io no. Lascio a voi la conta degli stereotipi che possono coesistere nella mente di una sola persona…io ho interrotto il confronto per sopraggiunto imbarazzo, non avrei potuto scendere così in basso.
Quante altre volte me lo sono sentita dire, con le buone o cattive maniere, e quante volte mi chiedevo “ma che c’entra con ciò di cui stiamo discutendo?” . Ma sbagliavo a pensare che stessimo discutendo… questa è semplicemente la manifestazione di potere di chi non non maneggia quello delle parole, dei contenuti, e delle idee. Abbozzi di relazioni gerarchiche di potere, atti di mobbing e discriminazione in erba.
E’ una maniera tanto rozza quanto pungente di svalutare una persona, perché si fa leva su qualcosa che non ha a che fare con il contenuto della discussione, si tratta di una vera e propria forma di bullismo, di mobbing.
Però c’è da dire che, nonostante io non sia anagraficamente una ragazzina, trovo sia un elogio essere appellata “ragazzina arrogante” sapendo che questo appellativo maschera l’ignoranza di chi lo usa, che mal digerisce l’atteggiamento assertivo, pertanto ha bisogno di dare all’assertività una connotazione negativa. Non molti anni fa ho subìto anche il rimpiazzo di “autorevole” con “autoritaria” e di “assertiva” con “aggressiva”: vecchi giochi di manipolazione mutuati dalla ben consolidata cultura patriarcale, gli stessi con cui le donne che potevano mettere in discussione l’ordine sociale venivano appellate come “streghe”: bene, a mio parere quindi, il mondo ha bisogno di ragazzine assertive tanto quanto di streghe, ed io sono con loro, se le chiamano arroganti, aggressive, autoritarie, stronze.
Perché non subiscano quel potere ma sappiano fronteggiarlo, perché non debbano subire processi alla loro libertà, perché nessuno senta di poter stabilire cosa devono o non devono essere.
Perché loro stesse non riproducano le dinamiche di potere che abbiamo tanto combattuto negli anni, e scelgano di non diventare mai inquisitrici ma rimanere streghe, una delle scelte di coerenza più difficili da praticare.
Tra le tante variabili dell’espressione “taci, arrogante ragazzina!” ho potuto testare, di fronte al mio atteggiamento assertivo, un malcelato ipocrita “perché ti metti sulla difensiva?” come reazione ad una richiesta di spiegazioni in circostanze poco chiare, o “non c’è bisogno di essere così aggressiva” di fronte alla chiarezza con cui ho espresso il mio disappunto, fino al rabbioso “tu parli sempre di te!”: questa è una delle migliori – forse un giorno me la farò tatuare! – perché è proprio la manifestazione del grottesco tentativo di abbattere una persona che semplicemente non teme di esporsi: e di chi devo parlare? L’obiettivo era sempre quello di squalificare una posizione senza averne gli argomenti, mettendo in campo elementi che andavano a colpire obiettivi sensibili come l’autostima, la relazione, la percezione di sé, l’impegno profuso nella costruzione di relazioni di ascolto. Chi ha un atteggiamento manipolatorio finalizzato ad emarginare una persona da un gruppo, da un contesto sociale, politico, lavorativo, utilizza diverse strategie che hanno in comune quell’unica ridicola affermazione declinata all’infinito “taci, arrogante ragazzina!”. Una persona che pratica l’autocritica come elemento di crescita, può essere danneggiata fino all’inverosimile dalla messa in discussione così sottile e continuativa dei propri valori. Quindi ho impiegato del tempo a ricordarmi che “arroganza ed aggressività” erano la mia assertività, che “il parlare sempre di me” era il partire da me come in ogni buona pratica di relazione femminista, che non ha nulla a che fare con l’egocentrismo ed il narcisismo. Un tempo tanto doloroso quanto costruttivo, a tratti -brevi -anche spassoso. Con il tempo ho capito che chi si rivolgeva a me in realtà parlava di sè, e provava un certo fastidio per il fatto che non ho alcun problema a mostrare chi sono, nè cosa penso.
Ma c’è un’altra manifestazione verbale di effimero potere, che cela una sostanziale incapacità di ammettere i propri limiti o semplicemente considerare l’esistenza di altre forme di vita su questa terra, al di là della propria…si tratta del sempreverde ed immancabile “ne hai di strada da fare!”, tirato in ballo anche esso per mettere le persone in un angolo, ad attendere che l’illuminat* saggi* conceda loro un posto a sedere nel cerchio di quell* che invece di strada ne hanno fatta tanta, e l’hanno anche battuta per chi viene dopo: ah, indomiit* guerrier*, patrimonio dell’umanità, che scelgono di immolarsi ad indicatori della retta via per coloro che non sanno cosa fanno o dicono!
A furia di sentirmelo dire, prima perchè troppo giovane, poi perchè troppo “arrogante”, poi perchè troppo poco un sacco di altre cose, ho iniziato a leggere chiaramente l’insicurezza di chi pronuncia queste parole. Basta chiedere di spiegarci esattamente quale sia la strada che ancora dovremmo fare, ed esattamente dopo quanta strada avremmo il lasciapassare per poter avere degli ideali, una cultura, la libertà di scelta. Prendiamo un secchiello di pop corn, e godiamoci la messa in scena del paternalismo, non potrà andare diversamente.
Ad un certo punto – non uno qualsiasi, ma ad un punto esatto – mi sono messa in cammino, ho preso per mano me stessa, ed ho immaginato il luogo in cui vorrei essere ogni giorno, lontana da tutto ciò che non fa altro che generare dolore, spreco di tempo ed energie, discorsi vuoti e manipolazioni continue di persone e dinamiche, presenze ingombranti. Questo mio luogo è pieno di libri e chincaglierie raccolte durante viaggi, ricordi, oggetti lasciati di passaggio, comode poltrone e morbidi cuscini su cui sedersi per allontanare la fretta, ascoltare racconti, riflettere, raccontarsi, curiosare sul mondo, accogliere la diversità come dono per la crescita, concedersi di essere assertivi/e, godere della presenza di chi arricchisce la mia vita.
Io questo luogo l’ho visualizzato, ci sono entrata con la mia immaginazione, ho suddiviso spazi e contenuti, selezionato argomenti e visualizzato percorsi di condivisione. Ho immaginato le persone fermarsi di fronte alla finestra, poi entrare, prendere qualcosa da bere e sedersi per poter ricevere il tempo in dono e a loro volta donare tempo in modo consapevole, con empatia, per dare al mondo un piccolo positivo contributo in termini di cambiamento. Un luogo di passaggio in cui trovare un’atmosfera calda, ironica e familiare, dove raccogliere diversi sguardi sul mondo e donare il mio.
Perché se c’è qualcosa che ho vissuto e alla quale sono sopravvissuta nonostante la sua tossicità, è la fretta e il dispendio di energie che molto spesso servono per dimostrare che sappiamo raggiungere degli obiettivi, ma ci rendono impossibile godere del cammino fatto. Se ci si ferma per un attimo, anche ciò a cui pensavamo di non sopravvivere assume un aspetto diverso. Quale? Non saprei dare una risposta valida per tutt*, ma spero vogliate fermarvi qui per cercarla. Per me vale ciò che scrisse Anais Nin “Credo che se non avessi creato il mio mondo probabilmente sarei morta in quello degli altri”. Ed io non volevo morire nel mondo della competizione umanamente sfiancante sotto ogni punto di vista, quello in cui ogni mattina un individuo si alza e sa che deve correre più veloce e basta, senza chiedersi dove stia andando e da chi stia scappando.
Di strada ne ho fatta, ed ancora ne farò con grande motivazione: sono stata sempre timidamente e silenziosamente curiosa da bambina, ho osservato il mondo degli adulti potendo contare su due genitori che hanno messo al centro delle proprie vite il rifiuto di ogni pregiudizio ed intolleranza con grande coerenza e la solidarietà come stile di vita. Perciò, non ho dovuto compiere grandi sforzi per sviluppare la consapevolezza della responsabilità che ognun* di noi riveste nei confronti del mondo intero, attraverso le piccole e grandi azioni, nell’universo della difesa dei diritti umani ho vissuto la mia quotidianità. Diciamo che ho vissuto seguendo ciò che Desmond Tutu ha sintetizzato in una delle citazioni più utilizzate quando si parla di giustizia sociale: “If you are neutral in situations of injustice, you have chosen the side of the oppressor. If an elephant has its foot on the tail of a mouse, and you say that you are neutral, the mouse will not appreciate your neutrality.” La neutralità non mi è mai appartenuta, so bene che non essere neutrale richiede grande impegno ed anche un prezzo da pagare sul piano sociale, politico, relazionale, fino ad arrivare a quello lavorativo, ma non posso paragonarlo con il guadagno che ne ho ricavato in termini di autocoscienza, crescita, ed autodeterminazione.
Nonostante la coerenza abbia sempre rappresentato il Nord durante il mio viaggio, mi sono trovata a volte a percorrere le deviazioni provocate dall’opportunismo, dalla bugia a fin di lucro, dalla manipolazione, fino alla violenza nelle sue varie subdole forme. Ed è difficile non cadere, non fermarsi, non avere voglia di tornare indietro, non volersi adeguare ad un mondo fatto di continue mediazioni, anche quando queste avvengono sulla pelle delle persone. Ma se non hai conosciuto altra via, non sai dove cercare.
Pensavo di aver costruito, per un lungo periodo della mia vita, un favoloso equipaggiamento per la scalata verso la vetta più alta del Monte Vita: nello zaino tanti bei propositi da condividere, il kit di emergenza in caso di pericoli, una compagnia di viaggio che credevo composta di umanità, sorellanze, sincerità e solidarietà, ed il necessario per un accampamento in cui chiunque potesse sentirsi a proprio agio nelle soste utili a riprendere energia. Più volte lungo il tragitto ho avuto il sentore di essere più una sherpa che una compagna di viaggio, ma mai avrei sospettato di svegliarmi un bel giorno derubata di tutte le mie provviste, e lasciata sola in mezzo al bosco a proseguire il cammino priva di ogni sostentamento! Ho avuto paura, ho cercato conforto, ma sembrava che tutto il mondo passasse di lì ed avesse timore di tendermi la mano, anche solo di guardarmi negli occhi, per non doversi schierare dalla parte della “ragazzina arrogante”.
Ho provato sconforto, rassegnazione, e rabbia: guardavo in alto verso la cima e pensavo che mai avrei potuto raggiungerla, perché mi avevano derubata di tutto ciò che avevo con cura preparato per arrivarci, avevano approfittato del mio bisogno di condividere, delle mie energie, della mia lealtà, delle mie fragilità. Mi sono fermata nel bosco, le mie energie si andavano esaurendo, e il cielo prima sereno diventava sempre più cupo. Mi ero fissata sulle nuvole nere, senza pensare che esse sono passeggere, non restano lì per sempre. Avevo il fiato corto, non potevo fare un passo in più, temevo per la mia sopravvivenza, di certo questo stato d’animo non poteva alimentare pensieri positivi ed accadimenti degni di serenità.
Invece un giorno ho aperto gli occhi, il cielo era sereno, intorno a me i suoni del bosco erano suoni di vita e non di pericolo. Mi sono chiesta “perché ho lasciato che tutto questo accadesse?”: la risposta, da quel giorno, è sempre diversa, in continua evoluzione. Ma mi sono alzata ed ho iniziato a camminare verso la vetta, con calma, apprezzando ogni dettaglio e fermandomi a farne tesoro: credo che coloro che mi hanno abbandonata nel bosco debbano ancora arrivare, forse hanno smarrito il sentiero inseguendo false
promesse di gloria, e divorato le mie provviste troppo in fretta, ma da quassù posso ammirare la Vita ed affermare che ogni esperienza fatta non può che aggiungere, mai sottrarre. Ed aggiunge anche la capacità di vivere ogni sentimento senza pregiudizio, sia esso di amore o rabbia. Il perdono è altra cosa ed io non aspiro ad essere un’anima candida, quindi no, nessun perdono, ma una sana consapevolezza e lucidità. Ho scelto un proficuo temporaneo isolamento, per potermi riappropriare di antiche abitudini e rispolverare gli attrezzi utili a rimettere insieme la mia vita, superare le paure e poi riaffacciarmi alla vita con rinnovata consapevolezza, la solita faccia da stronza, la memoria di chi è stata ingiustamente spedita in un girone infernale ma ha ammazzato il Diavolo ed è tornata.
Oh si, ne ho di strada da fare, ma se doveste passarci assicuratevi che io vi abbia dato il permesso di camminarmi accanto.